martedì 19 maggio 2015

Le tre Leonore di Beethoven e no, non stiamo parlando di donne. Seconda parte: le tre "Leonore"

Avevamo lasciato il nostro caro Ludwig intento alla scrittura della sua prima opera, Fidelio (il titolo fu questo fin dalla prima rappresentazione), tratta dalla pièce francese Léonore ou l'amour conjugal di Bouilly.

1. Provaci ancora, Ludwig! Le tre versioni del "Fidelio"

Ebbene, nel 1805 l'opera (o meglio, come abbiamo detto, il Singspiel) era pronta per andare in scena al Theater an der Wien. Un momento perfetto per Beethoven: poteva finalmente coronare il suo desiderio di scrivere per il teatro in musica con un'opera che parlava di libertà e di lotta contro la tirannia. C'era solo un piccolo problema: Vienna, nel 1805, era occupata dall'esercito di Napoleone che aveva sconfitto le armate austriache e così quel 20 novembre 1805 il pubblico del teatro in cui si rappresentava Fidelio era costituito prevalentemente da soldati francesi, come possiamo vedere nell'immagine:

Risultato: la prima fu un insuccesso e possiamo anche immaginare il motivo di tanta freddezza da parte del pubblico: semplicemente, come possiamo vedere nell'immagine seguente, a qualcuno sembrò che il messaggio antiautoritario del Fidelio fosse un invito nemmeno troppo velato alla ribellione contro l'oppressore francese.

"Pensi che Beethoven parli di noi nel 'Fidelio'?"
"Ma no... cosa Le fa pensare questo, mio Imperatore?"

Beethoven però non si diede per vinto. Credeva in quello che aveva scritto, si rese conto che l'opera soffriva di qualche lungaggine, la rimaneggiò un po' e nel 1806 la rappresentò di nuovo. A questo punto, i Francesi se n'erano tornati a casa loro riportando certo un'immagine molto vivida della ridente Vienna...

"Com'è andato il tuo viaggio in Austria?"
"Mah... sai, gli Austriaci sono matti, dicevano sempre 'Fidelio' e ci guardavano..."
...ma ancora una volta Beethoven non fu soddisfatto del risultato e continuò, a mo' di hobby, a riscrivere l'opera nel tempo libero. Il risultato di questa continua riscrittura a tempo perso fu una gestazione talmente lunga che la versione definitiva dell'opera non vide la luce (e la scena) che nel 1814.

Quindi, per riassumere, Beethoven scrisse tre versioni del Fidelio:
  1. La prima versione fu rappresentata nel 1805 di fronte a un Theater am Wien pieno di soldati francesi
  2. La seconda versione fu rappresentata nel 1806
  3. La terza versione, che è quella che viene rappresentata oggi, fu rappresentata nel 1814
2. Cherchez la femme: Wilhelmine Schoeder-Devrient e il successo di "Fidelio"

Comunque, nonostante tutti gli sforzi di Beethoven per scrivere e riscrivere l'opera, Fidelio continuava a non avere successo. L'opera rischiava di cadere nell'oblio, ma improvvisamente ecco che negli anni Venti dell'Ottocento Fidelio iniziò ad essere rappresentato un po' ovunque in Germania e in Austria. Perché? Il merito della (ri)scoperta di questo Singspiel da parte del mondo di lingua tedesca è tutto da attribuirsi alla celebre cantante d'opera tedesca Wilhelmine Schröder-Devrient.



Frau Schröder-Devrient, che aveva un amore per le acconciature stravaganti, come possiamo vedere nella seguente immagine...

...è una figura estremamente importante nella storia della musica per vari motivi: oltre ad permesso il successo del Fidelio, infatti, ella sostenne molto Wagner nei suoi primi passi nel mondo dell'opera, quando, negli anni Quaranta dell'Ottocento, sia lei che il buon Richard vivevano a Dresda. Wilhelmine invitò più volte il futuro autore del Ring a casa sua e, soprattutto, cantò nella prima rappresentazione di molte sue opere (Rienzi, L'Olandese volante, Tannhäuser) in una fase in cui Wagner non era il compositore di successo che sarebbe diventato, ma semplicemente un trentenne di belle speranze il cui soggiorno a Parigi, qualche anno prima, si era risolto in un sostanziale nulla di fatto. Questo supporto le valse la gratitudine del buon Richard e il che non è poco, avendo Wagner una certa abitudine a parlare male di tutti (chiedere a Meyerbeer per maggiori informazioni).

Ma torniamo a Fidelio. Wilhelmine Schröder-Devrient aveva cantato nel Fidelio quando aveva diciassette anni e aveva amato molto l'opera; pertanto, quando divenne famosa, portò Fidelio nei teatri di tutta la Germania, riscuotendo un notevole successo. L'opera entrò nel repertorio per non uscirne mai più.

Grazie, Wilhelmine!

3. Le tre "Leonore" di Beethoven

A questo punto, sappiamo tutto di Fidelio: di cosa parla, quando fu rappresentata, come arrivò ad essere amata dal pubblico. Ma ancora non abbiamo detto niente dell'argomento da cui siamo partiti, ossia la sostituzione di ouverture effettuata da Baremboim all'ultima prima della Scala.

Allora, abbiamo detto che Beethoven rimaneggiò molto la sua opera e uno degli elementi che furono oggetto di maggiori ripensamenti fu, appunto l'ouverture. Quando nel 1814 l'edizione definitiva di Fidelio va in scena, già quattro ouverture si sono avvicendate nei progetti del compositore.

Nel 1805, per la prima rappresentazione dell'opera (sì, quella dei soldati francesi), Beethoven scrive l'ouverture che ora è nota come Leonora II...



...poi, per la seconda rappresentazione dell'opera nel 1806, scrive la Leonora III.

Ehi, ma manca qualcosa: e la Leonora I dov'è? Be', la Leonora I fu scritta per una rappresentazione del Fidelio che doveva avere luogo a Praga (e che poi non ci fu).

Ebbene, tutte e tre queste ouvertures furono poi scartate dall'autore, che nella versione definitiva dell'opera, nel 1814, optò per un brano più conciso (7 minuti contro gli oltre 15 delle varie Leonore) e sicuramente meno suggestivo musicalmente che è quello che è tuttora viene eseguito prima dell'opera. Perché? Allora, i problemi che Beethoven individuava nelle tre Leonore erano essenzialmente due:
  1. In primo luogo erano lunghe, molto (forse troppo) lunghe
  2. Inoltre (e questo è forse l'aspetto più importante) rivelavano già al pubblico l'unico colpo di scena dell'opera, ossia la comparsa improvvisa, alla fine del Fidelio, del ministro del re che salva Florestano e Leonora. Infatti, come abbiamo detto, la comparsa del ministro del re è accompagnata da uno squillo di tromba: ebbene, in tutte e tre le Leonore noi ritroviamo quello squillo di tromba, squillo che è invece assente nell'ouverture che poi Beethoven scelse come definitiva. In pratica, Beethoven deve aver ragionato in questo modo: "Non posso rivelare dall'inizio come va a finire l'opera!" E quindi le tre Leonore, splendide ma con spoiler incorporato, non vennero incluse nell'edizione definitiva del Fidelio.
Comunque, queste tre ouvertures non caddero nel dimenticatoio. Furono molto eseguite come pezzi da concerto e, proprio per la presenza di quello squillo di tromba, sembrò al pubblico che esse raccontassero una storia: la storia di Leonora, di Florestano, di Don Pizarro. In breve: la storia del Fidelio. E ispirarono dunque altri autori che volevano raccontare delle storie tramite la musica sinfonica, rappresentando il primo passo verso quello che poi sarebbe diventato il poema sinfonico.

Ma questa è un'altra storia e mi farà piacere raccontarvela, prima o poi.

Per il momento, spero che abbiate compreso il motivo della mia scarsa comprensione per la scelta di Baremboim: sostituire l'ouverture del Fidelio con la Leonora II vuol dire non comprendere i motivi - in primo luogo drammaturgici, come abbiamo visto - che portarono Beethoven a prendere determinate decisioni per la versione definitiva dell'opera. Di più, vuol dire tradire la volontà di Beethoven, visto che fu lui a non mettere nessuna delle tre Leonore come ouverture della versione del 1814 dell'opera. So che le Leonore sono belle, ma se proprio ti piacciono, Daniel, potevi perlomeno fare come faceva Mahler (poi imitato da altri), che eseguiva l'ouverture del Fidelio all'inizio del primo atto e poi, prima del secondo atto, eseguiva la Leonora III. Comunque, spero che abbiate apprezzato il Fidelio. A presto e...

Stay tuned!

domenica 17 maggio 2015

Fuori di Topic: the Sheriff is in town. Andy Burnham e il ritorno degli "sceriffi rossi"

(Domani finiamo il nostro discorso su Fidelio, prometto!)

1. Il distintivo a sinistra: breve cronistoria degli sceriffi rossi

Nel beato mondo della sinistra italiana pre-2011, oltre alla mitica società civile (che era un po' come il sesso, se ne parlava tanto, ma ce n'era molto poca), c'erano delle figure che, a seconda dei punti di vista, scatenavano entusiasmi oppure generavano un istintivo rigetto. Erano i sindaci-sceriffi, cioè esponenti dei partiti progressisti che però si opponevano a quello che era percepito come un certo laissez-faire della sinistra sui temi dell'immigrazione e della legalità e si proponevano come muscolari campioni dell'ordine nelle città in cui erano eletti. Gli esempi sono molti, da Cofferati a Bologna al redivivo De Luca a Salerno, passando per il fiorentino Cioni (che sindaco non era), con le sue discusse ordinanze contro i lavavetri, e per Flavio Zanonato, poi ministro del governo Letta, che nella sua Padova fece costruire un bel muro per stroncare il traffico di droga.

Se la presentazione di questi politici da parte della stampa poteva essere talvolta macchiettistica e se molto spesso le loro stesse modalità comunicative non erano esattamente indovinate, l'idea che portava a questo tipo di linea politica aveva una sua razionalità: in pratica, questi sindaci prendevano atto del fatto che le fasce più deboli - storicamente tutelate dalla sinistra - si sentivano sempre più minacciate dalla piccola criminalità e cercavano di dare delle risposte in termini di ripristino della legalità. Giusta o sbagliata che fosse (ognuno può giudicare in coscienza), questa era la tesi propugnata da questi esponenti politici, la cui eredità non si è comunque ancora spenta, se è vero che non più tardi di un anno fa, il renzianissimo Dario Nardella, durante la campagna elettorale per le elezioni a sindaco di Firenze, aveva avuto la brillante idea di proporre un foglio di via per i mendicanti.

Ma la tolleranza zero contro delinquenti e immigrati da parte di esponenti di sinistra non è un fenomeno italiano, come talvolta si pensa (ah, è colpa della Lega!). Per dire, il primo ministro francese Manuel Valls quando era ancora Ministro dell'Interno aveva costruito gran parte della sua popolarità sulla sua immagine di intransigente tutore della legalità e su affermazioni del tipo: "Noi non siamo qui per accogliere i Rom", come possiamo vedere nel video seguente:


E che dire di Gordon Brown, che nel 2007 insisteva sulla necessità di creare "British jobs for British workers" e che in seguito, nel 2009, come Primo Ministro, intervenne a sostegno dei lavoratori (britannici) della Lindsey Oil Company in sciopero contro la decisione della compagnia di assumere, in un'area ad alta disoccupazione, un elevato numero di operai italiani (!) e portoghesi. La presa di posizione di Brown era peraltro anche comprensibile in un momento storico in cui la disoccupazione tra i lavoratori nati nel Regno Unito aumentava mentre quella tra i lavoratori nati al di fuori degli UK diminuiva, come mostrava il Daily Mail in quei giorni:


Quindi, il caso italiano non è isolato e personalmente ritengo che ci sia una ragione per questo: questo tipo di atteggiamento rappresenta, a mio parere, un po' il risultato della mutazione genetica della sinistra dagli anni Ottanta in poi. Accettando in modo acritico i meccanismi della globalizzazione e cercando anzi di favorirli, la sinistra ha di fatto lasciato un'intera classe sociale di lavoratori poco qualificati senza alcuna protezione ed esposta alla concorrenza di paesi in cui la manodopera ha un costo minore. Certo, si è cercato di ridurre questi lavoratori poco qualificati puntando sull'istruzione e sulla formazione (il solito "Education, education, education" di Blair), ma è stato inevitabile che questi soggetti non si sentissero più tutelati dalla sinistra tradizionale e che ascoltassero le sirene dei partiti protezionisti e xenofobi, che rivolgevano l'attenzione più contro i delinquenti, gli immigrati, i Rom e in generale verso tutto ciò che veniva avvertito come pericoloso socialmente piuttosto che contro i reali meccanismi che portavano all'impoverimento e alla riduzione di tutele della classe lavoratrice. Ai successi elettorali di questi partiti, abbastanza frequenti a partire dagli anni Novanta (vedi i successi della Lega in Italia, le vittorie elettorali di Haider in Carinzia e in Austria e l'accesso di Le Pen al secondo turno alle elezioni francesi del 2002 eliminando il candidato socialista Jospin), i politici di sinistra cercarono di rispondere non tanto rinnegando le proprie politiche, quanto incamerando nel loro discorso alcune parti della retorica dei partiti xenofobi.

In altre parole, il problema che la sinistra si è posta non è stato: "Come facciamo a tutelare chi è meno tutelato e chi è senza protezione di fronte alla globalizzazione?" ma: "Come possiamo contrastare la Lega/il Front National/Haider/altro-partito-random sul terreno della lotta all'immigrazione e alla criminalità?".

Il risultato è stato l'emergere degli "sceriffi rossi" in Italia, in Francia e altrove.

2. The new boy in town: Andy Burnham

L'ultima variazione sul tema degli sceriffi rossi viene dai laburisti inglesi, che, come abbiamo detto in precedenza, sono in piena lotta intestina per decidere il nuovo leader. Il nome nuovo, dopo il ritiro dell'"Obama britannico" (?) Chuka Umunna, è quello del ministro-ombra per la sanità Andy Burnham. In una corsa alla leadership fatta di tanti piccoli emuli di Blair alfieri del "ritorno al centro", Burnham si presenta come il candidato sostenuto da Len McCluskey, il segretario generale della principale Union che supporta il partito laburista, e quindi si pone in una più marcata continuità con l'operato di Miliband.

Andy Burnham (foto Reuters)

Ovviamente, lui fa molta attenzione a presentarsi come candidato "di tutti" e sottolinea sempre di non condividere né le tesi di chi richiede un blairiano "ritorno al centro", né quelle di chi, come McCluskey, chiede una "svolta a sinistra" e ricorda di essere sostenuto anche da esponenti storicamente vicini a Blair. Possiamo vedere nel seguente video come Burnham cerchi di presentarsi come il "candidato del cambiamento" rispetto a Miliband e di mostrare il suo rifiuto sia delle posizioni dei Blairiani di Mandelson che di quelle di McCluskey ("Both approaches are wrong"):


Comunque, l'evento che ha posto Burnham al centro del dibattito politico britannico è di questa mattina: Burnham, parlando all'Andrew Marr Show, sulla BBC, ha dichiarato che il referendum sull'appartenenza del Regno Unito all'Unione Europea si dovrebbe fare il prima possibile e che Cameron dovrebbe impegnarsi per ottenere che i cittadini europei che arrivano nel Regno Unito non possano avere accesso per due anni a nessun tipo di sussidio e per ottenere delle restrizioni all'operato delle agenzie che portano nel Regno Unito lavoratori dell'Europa dell'Est che sono pagati meno del salario minimo. Lui, comunque, sottolinea che la sua posizione, in un eventuale referendum sull'Unione Europea, sarebbe favorevole alla permanenza del Regno Unito nell'UE.

Un nuovo sceriffo è in città? Ce lo dirà solo il tempo. Il dubbio che resta è che forse sarebbe meglio, per vincere le elezioni, smettere di credere che i tagli siano di sinistra, che la precarietà porti tanto benessere e che il trattato di Maastricht sia stato scritto da Marx, piuttosto che utilizzare lo stesso apparato intellettuale della destra e cercare poi di farsi votare gridando "dagli all'immigrato!". Sarebbe più proficuo, anche perché gli sceriffi rossi raramente hanno fatto carriera. Come dire: di solito, tra la destra populista e xenofoba e la sinistra che fa finta di essere populista e xenofoba, gli elettori scelgono l'originale.

Vedremo se il buon Andy riuscirà a smentirci.

Noi ci vediamo domani con l'ultima puntata sul Fidelio. Per il momento...

Good night and good luck!

venerdì 15 maggio 2015

Fuori di topic: il Labour e il fantasma di Tony Benn

1. L'imporante è vincere? Il dibattito post-elettorale nel Labour

La sconfitta del Labour alle elezioni britanniche, di cui abbiamo parlato in un post precedente, ha scatenato un grande dibattito all'interno del partito tra chi sostiene che Miliband abbia perso perché non è andato abbastanza a sinistra (posizione che personalmente condivido) e chi, come la vecchia guardia del New Labour, da Tony Blair in giù, sostiene invece che i laburisti abbiano perso perché Miliband non è stato in grado di occupare il centro.

Le posizioni sono abbastanza polarizzate in materia, come si conviene a qualunque partito di sinistra che dopo aver perso apre er dibbattito interno, e il che è anche abbastanza comprensibile, dal momento che Miliband si è dimesso dalla guida del partito e che la lotta per la leadership del Labour Party è cominciata. E' un dibattito tra due visioni, tra una parte del partito che spinge per uno spostamento dell'asse del Labour a sinistra e il ritorno della visione blairiana che sostiene che sia necessario accettare dei compromessi introducendo nel proprio linguaggio massicce dosi del consensus neo-liberale (fiducia quasi cieca nel mercato, valorizzazione dell'individuo e dell'individualismo rispetto alla società, assunzione di una posizione acriticamente in favore delle grandi imprese creatrici di impiego e dei meccanismi della globalizzazione) per poter vincere le elezioni e per poter poi riuscire a ottenere dei miglioramenti delle condizioni dei lavoratori. Blair dice, in un suo intervento recente, più o meno questo: certo, quando siamo andati al governo siamo riusciti ad ottenere delle tutele per i lavoratori come il salario minimo, ma per farlo abbiamo dovuto proporre in campagna elettorale un discorso più ampio. E' forse utile ricordare, comunque, quali concessioni richiedesse questo "discorso più ampio": la visione blairiana della necessità di non contrastare i meccanismi della globalizzazione ma di favorirli e di cercare di tutelare i lavoratori, più che con il vecchio assistenzialismo socialdemocratico, promuovendo l'educazione e la formazione (Education, education, education è stato uno degli slogan di maggior successo di Blair, come possiamo vedere nel video seguente)...


...ha portato, una volta adottata e applicata anche dai partiti socialdemocratici e progressisti del resto d'Europa, degli effetti abbastanza curiosi, dall'introduzione del precariato con la legge Treu da parte del Governo Prodi (a parziale discolpa del quale va detto comunque che l'Italia si portava dietro da più di un decennio una disoccupazione superiore al 10%) alle splendide leggi Hartz del socialdemocratico tedesco Schroeder che hanno portato tanti tedeschi ad essere dei "working poors", cioè delle persone che, pur lavorando, hanno bisogno di sussidi per sopravvivere. In pratica, leggi di destra (e contrarie agli interessi dei lavoratori) fatte da governi di sinistra, alla faccia della giustificazione blairiana "Noi facciamo finta di essere di destra per fregare gli elettori e poi quando andiamo al governo facciamo leggi di sinistra". Ma lasciamo tutto questo alle spalle e torniamo al dibattito interno del partito laburista.

L'ultimo intervento in materia - dopo la lettera in cui Tony Blair che aveva dato fuoco alle polveri sostenendo che il Labour avrebbe potuto vincere le elezioni nel 2020 solo "recuperando il centro" - è stato di Len McCluskey, segretario generale di Unite, il principale sindacato che sostiene il Labour. In una lettera al Guardian, McCluskey ha sostenuto che la sconfitta laburista alla General Election non sia stata dovuta al fatto che il partito aveva assunto una linea troppo di sinistra. Partiti con programmi più a sinistra del Labour come il Green Party e lo Scottish National Party, dice McCluskey, hanno ottenuto molti voti e la sconfitta elettorale è stata a suo parere dovuta principalmente a una "mancanza di coraggio" di Miliband: "Ed the Red", che era stato sostenuto peraltro dalle Unions nella lotta per la leadership contro il fratello David, avrebbe accettato di affrontare i Tories sul loro stesso terreno - cioè quello dei tagli e dell'equilibrio di bilancio - senza rendersi conto che "nessuno avrebbe mai potuto credere che i Laburisti avrebbero condotto i tagli alla spesa meglio dei Conservatori".

I Laburisti sembrano pertanto stretti tra il desiderio di una parte del partito di tornare al passato - a quel centrismo del New Labour che si era impantanato nelle secche della guerra in Iraq e che era stato in parte disconosciuto già da Gordon Brown quando era diventato primo ministro al posto di Blair - e il desiderio di spostare la linea del partito più a sinistra per non rischiare di diventare una brutta copia dei Conservatori. Come è stato detto in questi giorni post-elettorali in risposta alla lettera di Blair, insomma, una parte del Labour sostiene di "non poter accettare che diventi di sinistra quello che fino a poco tempo fa era di destra o addirittura di estrema destra, come tagliare il Welfare o chiudere le frontiere".

2. Lo spettro di Tony Benn

La questione è che questo dibattito la sinistra britannica l'ha già vissuto nell'era thatcheriana. Anzi, seguendo il dibattito di questi giorni verrebbe da dire che uno spettro si aggira per il Regno Unito, lo spettro di Tony Benn.



Tony Benn, recentemente scomparso, è stato uno dei simboli della sinistra britannica. Ministro laburista alla fine degli anni Sessanta, Benn ebbe il suo momento di massima influenza politica nei primi anni del thatcherismo, in cui riuscì a spostare la linea del Labour su posizioni quasi di estrema sinistra. Il risultato dell'influenza di Benn sul Labour Party fu la disastrosa sconfitta del partito alle elezioni del 1983, in cui Benn stesso perse il suo seggio alla Camera dei Comuni e che fu tuttavia salutata con favore da questi, che disse: "Per la prima volta dal 1945 un partito politico con un programma apertamente socialista ha ricevuto il sostegno di più di otto milioni e mezzo di persone". Dopo il 1983, la carriera di Benn entrò in una fase discendente: fu sconfitto nelle elezioni per la leadership del Labour Party da Neil Kinnock nel 1988 e con Kinnock il Labour si allontanò dalle posizioni di Benn, iniziando un percorso di trasformazione che culminerà poi con l'elezione alla guida del partito di Tony Blair. La leadership di Blair sancirà la fine del "vecchio" Labour e l'inizio del New Labour affermando in modo chiaro la posizione del partito laburista a sostegno del libero mercato ed eliminando la Clause IV della costituzione del Labour, che affermava che uno dei fini del partito era:

Assicurare ai lavoratori manuali o intellettuali il frutto della loro attività e una più equa distribuzione [...] sulla base della proprietà comune dei mezzi di produzione, di distribuzione e di scambio [...]

Blair diceva, parlando di Benn, che questi era un predicatore, ma che "i generali e non i predicatori vincono le battaglie". La figura di Benn ottenne nuova visibilità quando questi si pose alla guida del movimento contro la guerra in Iraq. Tony Benn si è spento a Londra nel marzo del 2014.

Ora, mi rendo conto che il quadro che è stato fatto può far apparire Benn come una sorta di alfiere della vecchia-sinistra-che-sa-solo-perdere di renziana memoria, contrapposto a Blair che invece sì che sa come si vince. Sulla vecchia sinistra di cui parla Renzi forse qualcosa da dire ce l'avrei; di fatto, a parte poche persone di spessore come Stefano Fassina, la sinistra del partito di maggioranza italiano è costituita più che altro da membri dell'allegra combriccola bersaniana che sostennero le riforme fortemente di destra del governo Monti, salvo poi risvegliarsi socialdemocratici dopo aver perso le elezioni e dopo aver perso perfino la leadership di un partito che avevano sempre creduto essere una sorta di proprietà privata della classe dirigente proveniente dal PCI-PDS-DS.

Benn invece era un galantuomo, fu sempre fortemente coerente con le sue idee e resta per tanti (me compreso) una figura di ispirazione nella lotta contro le disuguaglianze sociali, soprattutto oggi che tali disuguaglianze si fanno più marcate e stridenti in un sistema economico basato sulla stagnazione dei salari reali e sul rapido arricchimento di una piccola quota di grandi capitalisti. Forse, la lezione di Benn sulla necessità di coniugare il rispetto delle istituzioni democratiche con una politica in favore dei più deboli serve più oggi che allora.

Credo che quindi sia necessario precisare qualcosa. In primo luogo, le elezioni del 1983 si svolsero in un clima molto particolare. La Thatcher, che subito dopo la sua elezione nel 1979 aveva visto la sua popolarità nei sondaggi crollare, era riuscita a riportare alle stelle la propria immagine grazie al successo nella guerra delle Falklands-Malvinas. Quindi, verosimilmente la leggenda della Thatcher che vince grazie alle sue "coraggiose politiche di destra" contro un Labour Party socialista ed estremista è falsa e la Thatcher vinse probabilmente (soprattutto) grazie alla sua campagna militare contro l'Argentina. Quindi, Benn avrà le sue responsabilità (perché comunque lui stesso perse il proprio seggio), ma forse anche una certa nostalgia imperialista da parte di una quota dei sudditi di Sua Maestà ebbe un ruolo nel risultato elettorale del 1983.

Secondo: i tempi cambiano, per cui non è detto che le risposte debbano sempre essere le stesse. All'epoca di Benn, spostare a sinistra l'asse del Labour party fu un errore (anche perché alla fine Benn non creò una visione nuova di cosa volesse dire essere di sinistra dopo la crisi del Welfare State, ma si limitò a riproporre il vecchio mantra laburista delle nazionalizzazioni massicce) e invece fu lungimirante, elettoralmente, adottare in seguito una linea maggiormente centrista. Oggi può darsi che sia vero il contrario.

Comunque, la battaglia nel Labour è aperta e possiamo scommettere che ci sarà da divertirsi.

mercoledì 13 maggio 2015

Le tre Leonore di Beethoven e no, non stiamo parlando di donne. Prima parte: di cosa parla "Fidelio"?

1. "Mamma, voglio scrivere un'opera!" - Beethoven e l'opera

Un caloroso uèèèèèèèi a tutti gli amici che dopo il post precedente hanno deciso di lanciarsi nello studio della lingua di Di Pietro e Razzi nella prospettiva di trasferirsi nella gloriosa città di Villarosa al mare (dove, comunque, a differenza di Milano, ci sta o' sole e ci sta o' mare. Non sono molto informato riguardo alle femmene e a li masculi, però se volete chiedo) e vi prometto che in questo post farò finta di essere una persona seria. Dunque, dovevamo parlare del Fidelio e delle brillanti ouvertures a caso del Compagno Baremboim...

Ora, il rapporto di Beethoven con l'opera è la storia di un amore non corrisposto. Beethoven voleva scrivere opere, lo voleva davvero, solo che alla fine il suo rapporto con il teatro in musica si ridusse soltanto a un titolo, che è appunto Fidelio. Sappiamo che Beethoven stava progettando di scrivere un'opera già dall'inizio del 1800; c'era solo un problema: non riusciva a trovare un libretto che gli andasse a genio.

Mi piace - Non mi piace - "Non riesco a trovare nessun buon libretto"


Beethoven non amava l'opera buffa à la Mozart&Da Ponte e comunque possiamo capire che ricercasse delle trame che si allontanassero dalla funzione di semplice intrattenimento per dialogare con tematiche più universali: Beethoven, collocandosi tra il mondo classico e il mondo romantico, si trovava anche a cavallo di un drastico cambiamento di temi nell'opera. Dalle tematiche mitologiche e farsesche dell'opera del Settecento, infatti, si passa progressivamente, nell'Ottocento, a opere che parlano di magia, di patti con il diavolo (vedi ad esempio la prima opera romantica, il Freischütz di Weber), della storia medioevale, di vicende fiabesche. 

A questo desiderio per la ricerca di nuovi temi dettato dalla nuova sensibilità romantica, Beethoven sovrappone la sua personale adesione ai principi della Rivoluzione Francese di fratellanza, di libertà e di eguaglianza. L'adesione di Beethoven agli ideali rivoluzionari emerge spesso nella sua musica: pensiamo per esempio all'appello alla fratellanza universale contenuto nell'ultimo tempo della Nona, in cui il coro canta sul testo dell'Ode An die Freude di Schiller (sì, è proprio l'Inno alla Gioia, quello che suonavate a scuola con il flauto dritto - l'educazione musicale dei popoli avanza a passi da gigante) oppure nelle alterne vicende dell'Eroica, la cui dedica a Napoleone, visto come depositario dei valori rivoluzionari, fu stralciata allorché Napoleone si proclamò imperatore e Beethoven considerò che questi fosse divenuto, di fatto, un tiranno. Beethoven cercava dunque un soggetto che si adattasse anche alla sua sensibilità politica e alla sua volontà di esprimere in musica contrapposizioni ideali forti, quali appunto quella tra lotta per la libertà e tirannia.

Il problema è che questa trama non si trovava e Beethoven continuava a rifiutare libretti. Finché...



...non riuscì a trovare quello che cercava. Si trattava di un'opera teatrale che era stata scritta in Francia durante gli anni della Rivoluzione e che era già stata messa in musica dal compositore italiano Ferdinando Paer: era la pièce di Jean-Nicolas Bouilly Léonore ou l'Amour conjugal. Bouilly aveva svolto diversi incarichi amministrativi nel corso della Rivoluzione francese e del Terrore giacobino e aveva scritto un'opera di teatro che rientrava pienamente nel gusto della Francia rivoluzionaria per le cosiddette pièces au sauvetage. Cos'erano le pièces au sauvetage? Erano, come dice il nome, delle opere, sia teatrali che musicali, in cui alla fine c'era un colpo di scena e il protagonista veniva salvato. Ebbene, questo "colpo di scena con annesso salvataggio" lo ritroviamo nell'opera di Bouilly e lo ritroveremo poi in Fidelio.

Una volta trovato il soggetto, Beethoven incarica Joseph Sonnleithner di scrivere il libretto e inizia a comporre quello che poi diventerà Fidelio. Quindi lasciamolo intento alla composizione dell'opera e andiamo a vedere di cosa parla Fidelio. Facciamo partire la sigla...



...e siamo pronti per partire!
2. Di cosa parla "Fidelio"?

Fidelio è un'opera che, dal punto di vista della trama, non presenta grosse complessità. Detto altrimenti: non succede (quasi) niente sulla scena. Dal punto di vista tecnico, Fidelio è un Singspiel, ossia una forma di teatro in musica che differisce dall'Opera italiana perché:


1. E' in tedesco

2. Ha dei dialoghi recitati al posto dei recitativi dell'Opera italiana. Di solito, questi dialoghi non sono accompagnati da musica, ma talvolta può accadere che lo siano e quando questo succede si parla di melologo. Quindi, un melologo è semplicemente una parte di un Singspiel (o, in generale, di un'opera) in cui uno o più personaggi parlano invece di cantare mentre l'orchestra suona e questo può essere anche di grande impatto, come possiamo vedere nella celebre Scena della Valle del Lupo dal Franco Cacciatore di Weber, in cui si ha una mescolanza di canto e melologo.


La storia raccontata dal Fidelio è semplice: siamo in Spagna, nel 1600...




Florestano, il marito di Leonora, che possiamo qui vedere in una foto presa durante il loro viaggio di nozze...




...è stato incarcerato perché oppositore del tiranno Don Pizarro, che potete vedere nell'immagine seguente. Il castello che vedete sullo sfondo è la prigione in cui Don Pizarro rinchiude i suoi oppositori e in cui si svolge la vicenda.



Leonora è andata a cercare Florestano e si è travestita da uomo (facendosi chiamare, appunto, Fidelio) per poter lavorare nel carcere di cui sopra, ritenendo che suo marito possa essere rinchiuso lì. Possiamo vederla qui di seguito nella sua simulata sembianza.




Nel carcere, Fidelio/Leonora lavora come assistente del carceriere Rocco; la figlia di Rocco, Marcellina, che potete vedere qui insieme al padre...



...si è innamorata di questo baldo giovine da poco assunto e per questo sta rifiutando le attenzioni del giovane Jaquino.

Quindi ricapitoliamo: Jaquino ama Marcellina, che però è innamorata di Fidelio, che tuttavia (e questo Marcellina non lo sa), non è un uomo ma una donna e si chiama Leonora. Di più: una donna sposata, il cui marito è un prigioniero politico probabilmente rinchiuso nel carcere in cui Fidelio e Marcellina lavorano. Lo so, detto così fa molto telenovela cilena ("No, Dolores, no puedo casarme contigo porque soy una mujer, no un hombre"), solo che devo deludervi: le vicende sentimental-amoroso-sbaciucchiose sono queste e finiscono qui. Leonora non scopre di aver sempre amato le donne e non si sposa con Marcellina, Jaquino non rimedia alla delusione portandosi a letto Florestano e Rocco non conclude il tutto in bellezza scappando in Brasile con Don Pizarro e intavolando là un ménage à trois con la proprietaria di un salone di bellezza di Rio. Del resto, sapete com'era Beethoven: ha passato tutta la vita innamorato di una "Amata immortale" sulla cui esistenza sussistono dubbi fondati, era interessato più ai grandi valori dell'esistenza che a cose banali come avere interesse per qualsivoglia altro essere umano o lavarsi e dunque, mi dispiace, l'intrallazzone cileno lei-ama-lui-ma-lui-è-un'altra-lei finisce qui e, sebbene alcune volte i registi cerchino di rivitalizzarlo mettendo in scena baci saffici e affini, non è nemmeno di grande interesse per la vicenda.

Comunque, lasciamo Don Pizarro e Rocco alla loro vita di eccessi che possiamo vedere nell'immagine seguente...



...e torniamo al nostro carcere.


Nel carcere è recluso un prigioniero che viene tenuto separato dagli altri e di cui Don Pizarro ordina l'uccisione perché sta per arrivare un'ispezione ordinata dal re di Spagna.




Il prigioniero, ovviamente, è Florestano, ma Leonora non lo sa e accetta di dare una mano a Rocco per scavare la fossa in cui sarà seppellito il cadavere del condannato dopo l'esecuzione.


Il secondo atto si apre sulla segreta in cui è recluso il prigioniero che sta per essere ucciso. Questi canta e ci racconta la sua storia, rimpiangendo la felicità perduta. E' un prigioniero politico e poeticamente ricorda i motivi che l'hanno portato in carcere:


Nei giorni di primavera della vita
la felicità mi è sfuggita
La verità, ho osato dirla
e queste catene sono la mia ricompensa.

Già qui una mezza idea di chi sia il prigioniero ce la siamo fatta. Ma c'è di più: alla fine della sua aria il prigioniero immagina di essere liberato da un angelo che ha le fattezze di sua moglie, che, come possiamo sentire in questo video...




...si chiama Leonora. Tra l'altro, quest'aria è un notevole esempio dell'abilità di Beethoven nel gestire il materiale musicale in modo aderente al significato del testo: infatti, Ludwig la divide in tre parti:

1. Nella prima parte, il prigioniero si lamenta delle sue condizioni in prigione (Dio! Che oscurità qui/ Che orribile silenzio) e la linea melodica seguita dal canto è più aspra (si avvicina quasi al Wagner del Ring) ed è molto poco regolare.

2. Nella seconda parte, il prigioniero, che come ormai avrete capito è Florestano, ricorda die Lebens Frülingstagen, i giorni di primavera della vita che l'arresto gli ha portato via e rivendica la sua scelta di essersi opposto a Don Pizarro (Süsser Trost in meinem Herzen/Meine Pflicht hab'ich getan, cioè Dolce conforto nel mio cuore/ho fatto il mio dovere). La linea si ammorbidisce, si riempie d'aria, si avvolge in un motivo malinconico e nostalgico quasi schubertiano.

3. Infine, la melodia diventa più mossa quando Florestano immagina che un angelo con le fattezze di Leonora arrivi a salvarlo.

Il prigioniero è dunque Florestano e, quando Leonora/Fidelio e Rocco scendono per scavare la tomba, il pubblico già sa che stanno per scavare la tomba di Florestano. Ne risulta una delle scene emotivamente più intense dell'opera. Possiamo vederla qui di seguito:


...oppure nell'immagine seguente:



Quanto segue è molto semplice: Leonora riconosce Florestano e, quando Don Pizarro scende nella segreta per ucciderlo, lei svela la sua reale identità e punta una pistola contro il tiranno per difendere suo marito.



A questo punto...


...sorpresa! Arrivano i nostri! Una tromba squilla, indicando l'arrivo del Ministro del re, che fa arrestare Don Pizarro e salva Florestano e Leonora.




Ecco dunque il salvataggio finale della nostra pièce au sauvetage. Segue grande festa e il più contento di tutti è Jaquino che non ha più concorrenti per l'amore di Marcellina (a meno di improbabili ménages à trois tra Florestano, Leonora e Marcellina che qualche regista creativo prima o poi infilerà alla fine dell'opera - sempre che qualcuno non l'abbia già fatto).

Come avrete capito, la trama non è esattamente piena di colpi di scena, ce n'è solo uno, alla fine, annunciato dallo squillo di tromba: ricordiamocelo, perché ci tornerà utile più tardi.


Ed è tutto per oggi, ma niente paura, torniamo molto presto con l'ultima parte delle intricate vicende del Fidelio di Beethoven. Se siete interessati al libretto del Fidelio, potete trovarlo nell'originale tedesco con traduzione a fronte qui.

Stay tuned!

lunedì 11 maggio 2015

Fuori di topic: le elezioni britanniche e il ritorno dei morti viventi

Se questa storia fosse un film, come diceva una volta il buon Lucarelli in quel grandioso programma che era Blu Notte, sarebbe "Il Ritorno dei Morti Viventi" di Dan O'Bannon.

Scusate l'off topic marcato dall'Opera, però credo che sia opportuno spostarci per qualche momento nella beata terra d'Albione, che non più tardi di giovedì scorso si è recata a votare. Tutti prevedevano un hung Parliament, c'est-à-dire un Parlamento senza una maggioranza chiara e invece no, hanno vinto i Conservatori di Cameron e tanti saluti agli istituti di sondaggi che, come molti esperti di calciomercato, sembrano essere lì semplicemente per dire il contrario di quello che accadrà.

La sconfitta del Labour e del suo candidato Ed Miliband, che aveva ottenuto la leadership del partito grazie all'appoggio delle Unions (cioè dei sindacati) sconfiggendo l'ala più vicina al New Labour di Blair rappresentata dal fratello (!) David Miliband, ha aperto la strada al ritorno dei morti viventi con la riesumazione dei più simpatici esponenti del New Labour, dal discutibile spin doctor Alastair Campbell a Blair stesso medesimo che è tornano a farsi sentire in una lettera all'Observer.

Tutto questo, ovviamente, ha avuto una certa eco anche da noi (la lettera di Blair è stata pubblicata da Repubblica) e devo dire che, avendo seguito un po', per quanto da lontano, la General Election, non riesco sinceramente a capire perché la sinistra nostrana o quello che ne resta abbia ancora una fascinazione per il Labour, vecchio o nuovo che sia.

Sia chiaro: abbiamo tutti avuto una fase della vita in cui amavamo il Regno Unito (per me risale a quando avevo 13 anni e ascoltavo i Led Zeppelin), ma l'impressione che si ottiene ascoltando le dichiarazioni d'intenti dei vari esponenti del Labour, sia dalla parte di Miliband che dalla parte dei suoi oppositori è che ormai in quello che dicono ci sia rimasto molto poco dell'idea di difesa del welfare state e di tutela delle classi meno abbienti che hanno definito la sinistra socialdemocratica (ossia, a mio parere, l'unica sinistra possibile, essendo le alternative i Tovarish russi e la sinistra dei macellai sociali alla Schröder che a me, al di là delle dichiarazioni ufficiali, sembra molto di destra) nell'ultimo mezzo secolo.

Certo, i tempi sono cambiati (essenzialmente, il Capitale non ha più l'URSS a fargli paura e quindi non ha più bisogno di quel prodotto attraente che era la socialdemocrazia per evitare l'arrivo dei Rossi), ma mi ha fatto sinceramente specie sentire i Laburisti e i Tories fare a gara, nel corso della campagna elettorale, su chi avrebbe fatto più tagli e su chi avrebbe gestito meglio i tagli da fare. In pratica, non veniva messa in dubbio la necessità di ridurre la spesa pubblica, ma si discuteva su come ridurla e su chi avrebbe potuto ridurla meglio.

Di qui le difficoltà dell'elettorato tradizionalmente laburista di fronte a un asse politico chiaramente spostato a destra: sul Guardian, tradizionalmente giornale di riferimento per gli elettori del Labour, vi sono stati, negli ultimi tempi, molti interventi che riferivano di una certa tentazione di voto per il Green Party, partito che, almeno a parole, era anti-austerity e pro-welfare state. Allo stesso modo, molti elettori inglesi di tendenza leftwing invidiavano i loro omologhi scozzesi che potevano votare un partito chiaramente anti-austerity come lo Scottish National Party.

1. L'ascesa dell'SNP

Nicola Sturgeon, primo ministro scozzese e leader dell'SNP, è stata infatti un po' la rivelazione della campagna elettorale, come cinque anni fa lo fu il leader dei Liberal Democratici Nick Clegg.

Il partito da lei guidato, lo Scottish National Party, è un partito indipendentista scozzese, lo stesso partito che, sotto la guida di Alex Salmond, ha promosso il referendum sull'indipendenza della Scozia dell'anno scorso, referendum in cui il No all'indipendenza ha vinto con un'ampia maggioranza.

So che in questo momento voi state pensando a due persone: a lui...


...e, of course, a lui:


Ecco, levateveli dalla testa entrambi. Il successo degli indipendentisti scozzesi, che hanno la maggioranza nel parlamento scozzese nato dalla Devolution di Blair e che giovedì scorso hanno ottenuto la quasi totalità dei seggi disponibili in Scozia, non dipende né da una sorta di nostalgia per i bei vecchi tempi di William Wallace né per una sorta di leghismo al pudding condito da un odio contro i terùn londinesi.

Le cause del successo dell'SNP risiedono piuttosto in una certa avversione degli amici scozzesi per le politiche di destra condotte dal governo centrale di Londra. Gli scozzesi sono infatti più a sinistra dei loro vicini inglesi e la Scozia ha rappresentato per molto tempo un importante bacino di voti (e di seggi, che poi è quello che conta., nel sistema elettorale inglese) per il Partito Laburista (peraltro, gli ultimi due primi ministri laburisti, Tony Blair e Gordon Brown, erano entrambi scozzesi). Pertanto, essi hanno una certa volontà di muoversi in modo autonomo dalla politica di tagli condotta a Londra e di investire maggiormente nel welfare. 

Le modalità tramite le quali ottenere questa autonomia sono state oggetto di varie proposte: dall'indipendenza, che è stata sconfitta nel referendum dell'anno scorso, ad una sorta di federalismo fiscale totale, che farebbe sì che tutte le tasse pagate in Scozia restassero in Scozia (so che sentite lo spirito dell'Umberto aleggiare su di voi) e che sembra ciò che l'SNP è al momento intenzionato a chiedere.

Comunque, la traduzione di tutto questo è: l'SNP non è un partito xenofobo in stile Lega Nord, anzi, è un partito socialdemocratico e Nicola Sturgeon, in campagna elettorale, si è chiaramente pronunciata più volte contro la politica di austerity di Cameron. A quanto pare, la Scozia ha risposto e ha deciso di tradire un Labour ormai molto poco di sinistra.

2. Il sistema elettorale britannico

Una vecchia canzone degli ABBA diceva The winner takes it all: ecco, il sistema elettorale inglese funziona esattamente in questo modo. E' un sistema che può sembrare strano a un Italiano (e non solo, come vedremo), che, nonostante i bei tempi andati del Mattarellum, è affezionato tradizionalmente al proporzionale e che effettivamente ha qualche problemino. Il fatto è che nel Regno Unito vige il maggioritario puro: il territorio nazionale è diviso in 650 circoscrizioni e ogni circoscrizione invia un candidato al Parlamento di Londra. Quindi quello che succede è che si presentano dei candidati, gli elettori votano e il più votato si porta a casa il seggio, gli altri se ne vanno senza premi di consolazione (non ci sono, insomma, né gli scorpori né le quote proporzionali di mattarelliana memoria).

Il risultato di questo sistema elettorale è che le percentuali dei partiti in Parlamento possono differire (e anche molto) dal numero di voti presi e in effetti, se andiamo a vedere quest'ultimo parametro, osserviamo che in realtà lo scarto di seggi tra i due principali partiti non riflette uno scarto di voti altrettanto ampio: i Conservatori hanno il 37% dei voti mentre i Laburisti hanno preso il 31%.

La Welt, quotidiano tedesco di orientamento conservatore, in un'analisi molto critica sul sistema elettorale britannico che, a parer loro, "butta sotto il tavolo un sacco di voti validi", si è presa la briga di contare quanti seggi avrebbero preso i vari partiti britannici se si fosse votato con il sistema elettorale tedesco, che è essenzialmente un proporzionale puro con sbarramento. Questo è stato il risultato:


Dall'immagine possiamo anche dedurre che l'analisi della Welt è fondamentalmente corretta (anche al netto del fatto che gli amici tedeschi hanno, come noi, un amore spassionato del proporzionale): infatti, l'UKIP, che ha preso il 13% dei voti validi, non è rappresentato in Parlamento che da un MP, mentre lo Scottish National Party, che ha preso il 5% dei voti, quindi meno della metà, ha 56 parlamentari! Per capirci, sarebbe come se nel Parlamento Italiano SEL avesse cinquanta volte il numero di parlamentari di Forza Italia. Il che potrebbe forse piacere a qualcuno, ma è chiaro che c'è una distorsione del voto popolare che non è indifferente.

Questo sistema ha funzionato finché nel Regno Unito ci sono stati due partiti principali e il partito Liberal Democratico (che peraltro si è sempre battuto per ottenere una correzione proporzionale a questo modello maggioritario) a fare da terzo incomodo, mentre ora, con la comparsa, anche in UK, della frammentazione partitica che ormai la fa da padrone in Europa (per dire, in Spagna ci sono il partito anticasta di destra - Ciudadanos - e il partito anticasta di sinistra - Podemos) sembra fortemente distorsivo della volontà popolare.

Quindi, prima di gettare la croce addosso a "Ed the Red", come è stato definito Miliband, forse sarebbe il caso di dare un'occhiata anche a questi dati. Certo, bisogna dire che ci sono stati dei dati inequivocabili che hanno mostrato come la leadership laburista non fosse benvoluta: il caso più eclatante è stato quello di Ed Balls, cancelliere ombra e quindi candidato in pectore a diventare Cancelliere dello Scacchiere (in pratica, ministro dell'Economia) in un governo Miliband, che è stato clamorosamente sconfitto nel suo seggio di Morley and Outwood.

I laburisti non stavano tanto simpatici, a quanto pare.

3. Immagini da una campagna elettorale

La campagna elettorale non è stata esaltante. Niente a che vedere con le campagne italiane dove fino al giorno prima delle elezioni tutti si mandano a quel paese. I momenti cruciali della campagna, per dire, sono stati tre:
  1. Ed Miliband, che era visto dai britannici come weird ("strano"), ha fatto una faccia buffa mangiando un sandwitch, come possiamo vedere nella seguente immagine: 
    Non mi chiedete cosa diamine c'entri questo con un'elezione politica perché non lo so. I britannici però ne hanno parlato per giorni e alcuni hanno anche sostenuto che questa faccia abbia precluso a Ed the Red l'accesso a Downing Street. Perché, come è noto, gli elettori votano quello che fa la faccia più simpatica mentre mangia un panino.
  2. David Cameron si scorda per che squadra tifa: ora, quando un tuo antenato era un re, quando hai fatto Eton e Oxford e quando hai un accento che fa sentire lontano un miglio la tua provenienza Upper Class, può essere un filino complicato ottenere i voti dei ceti meno abbienti. Ma niente paura: c'è un simpatico spin doctor che trova il modo per farti sembrare simpatico e quale modo migliore di sembrare vicino al ppppobolo e alla gggente di fare finta di avere un amore spassionato per una squadra di calcio, anche se per te il calcio è "quella specie di polo che i morti di fame fanno perché non hanno i soldi per comprarsi un cavallo e delle mazze". Solo che a volte può capitare di perdere il conto delle proprie bugie ed ecco che il buon Dave, dopo aver sostenuto per anni di essere un grandissimo tifoso dell'Aston Villa, se ne è venuto fuori in campagna elettorale dicendo di sostenere il West Ham. Quando gli hanno detto: "Hey, Dave, ma tu eri un tifoso del Villa!" lui ha replicato: "Ah, già, mi ero dimenticato per che squadra tifo!". Cose che capitano spesso naturalmente, come ogni tifoso di calcio sa. Almeno trovati una scusa migliore, Dave.
  3. David Cameron dà il biberon a un agnello: so che a questo punto avete già perso ogni interesse per la politica inglese, ma lasciatemi dire qual è stato il colpo da maestro di Dave che sicuramente gli ha permesso di guadagnare un sacco di voti: dare da bere il latte con un biberon ad un agnello il giorno di Pasqua. Vi ho messo il link, quindi se volete andare a vedere questo momento di alta politica potete farlo. Attenzione: la visione potrebbe generare in voi un odio profondo verso gli spin doctor e verso in generale chi si inventa queste simpatiche messinscena pensando che possano portare qualche voto (perché si sbagliano, vero? Nessuno vota qualcuno perché dà da bere a un agnello con un biberon, vero?).
E la politica? Be', come abbiamo detto, l'SNP era antiausterity, il Labour e i Tories pro-austerity con sfumature diverse, ma insomma, nessuno cercava di attaccare troppo gli altri perché i sondaggi davano come risultato più probabile un Parlamento senza maggioranza, in cui il nemico di oggi sarebbe potuto diventare l'alleato di governo di domani.

Quindi, i partiti si muovevano essenzialmente su due linee contrapposte: i Tories dicevano "Se ci sarà un hung parliament governeremo noi perché avremo più seggi", mentre i Laburisti replicavano "No, in caso di hung parliament governeremo noi perché potremo allearci con l'SNP e formare una maggioranza più stabile della vostra!". Quindi, i partiti sembravano più che altro interessati ad assicurarsi il diritto a costituire il governo nel caso (dato dai sondaggi come molto probabile) di maggioranza non chiara in Parlamento piuttosto che a mettere sul piatto proposte forti; non una scelta brillante, almeno per i laburisti, visto il risultato finale.

4. Un "miracolo inglese"?

Il vecchio Silvio, nella sua discesa in campo del 1994, promise "un nuovo miracolo italiano". Ecco, da quello che si sente da parte di molta carta stampata Cameron è riuscito ad ottenere un "nuovo miracolo inglese": disoccupazione bassa (5.5%), crescita sostenuta e superiore alle magrissime medie dell'Eurozona. Il tutto senza allargare i cordoni della borsa e perseguendo una politica di tagli e di austerity.

E' tutto vero? Allora, bisogna dire che la questione dei risultati economici del governo Cameron è dibattuta. E' chiaro che gli indicatori sono buoni, ma bisogna anche osservare che la riduzione della disoccupazione è stata ottenuta mediante l'introduzione di contratti di lavoro come i famigerati contratti "a zero ore": in pratica, io ti assumo, ma non sono tenuto a farti lavorare e quindi tu, all'inizio del mese, non sai né quante ore lavorerai, né se lavorerai, né, di conseguenza, se verrai pagato e quanto verrai pagato. Però ufficialmente sei assunto e quindi non risulti come disoccupato. L'accettazione di questi contratti è diventata obbligatoria per i disoccupati e alcuni osservatori di sinistra notano che probabilmente quello che ha fatto Cameron è stato semplicemente "truccare" i dati sulla disoccupazione facendo risultare come occupate persone che, di fatto, pur avendo un contratto non lavorano.

Qui mi fermo, non avendo competenze in materia. Se siete interessati al dibattito, vi lascio qui sotto due video. Sono in francese, non si può avere tutto dalla vita, se siete interessati segnalatemelo e vi faccio una traduzione. Il tipo che parla è Vincent Giret, editorialista del giornale liberista Le Monde che tiene una rubrica giornaliera nella fascia oraria 7.00 - 9.00 sulla radio pubblica francese France Info; il 5 dicembre, nella sua rubrica, lui parla in termini quasi entusiastici del "miracolo inglese" e dell'austerity che funziona, come potete leggere in questo articolo e vedere in questo video. In seguito a questo intervento, ci sono state molte polemiche che l'hanno costretto ad aggiustare il tiro e a parlare anche del lato oscuro dell'economia britannica, ossia di quei cinque milioni di working poors che fanno apparire a una parte dei cittadini di Sua Maestà il sogno inglese come qualcosa di abbastanza vicino a un incubo; trovate questo secondo intervento in questo articolo e in questo video.

Trovo che la sintesi sia abbastanza efficace, potete vedere sia il lato luminoso che the dark side of the moon del miracolo inglese e farvi un'idea.

Comunque, trovo il ritorno dei nostalgici del New Labour, da Blair al "giovane vecchio" David Miliband (il fratello di Ed), alquanto stucchevole. Il New Labour è morto nel supporto incondizionato di Tony al caro Bush nelle sue guerre e sinceramente non credo che il motto blairiano "Education, education, education" associato a qualche frase vuota di stampo veltroniano tipo "proporre una visione del mondo" possano essere utili in una crisi che è per prima cosa una crisi del modo in cui è stato gestito il capitalismo negli ultimi trent'anni piuttosto che un qualcosa di transitorio. La fiducia nel futuro e gli investimenti nell'istruzione "per essere più pronti alle sfide della globalizzazione" non bastano più, così come i sorrisi di Tony e dei suoi emuli e i loro rispettivi spin doctors. Hanno funzionato (forse), ma è stato tanto tempo fa, a lot of water under the bridge, come dice Sam in "Casablanca".

Forse sarebbe meglio che Tony tornasse alle sue conferenze e rimanesse tra gli allegri ricordi degli anni Novanta insieme ai concerti tamarri degli U2 durante il PopMart tour. Il mondo è andato oltre, Tony.

Thank you and goodnight.

Domani parliamo di Fidelio.

sabato 9 maggio 2015

Le "Leonore"di Baremboim e la Prima della Scala

1. Centri sociali, Marx e voccaperte: fenomenologia della Prima della Scala

Se c'è qualcosa che riesce a dimostrare la veridicità dei peggiori cliché sull'opera è la prima della Scala. Voi avete provato a spiegare alla vostra ragazza che il fatto che vi piace l'opera non vuol dire che siete vecchi dentro né che siete dei ricchi snob con quattordici cognomi e con una intensa nostalgia di quel tipo pelato che faceva arrivare i treni in orario. Lei sembra aver capito e non vi guarda più come se foste una sorta di remake di suo nonno in versione fascistoide ma basta accendere la televisione e metterla su Rai5 il 7 dicembre perché tutti i vostri sforzi siano vanificati.

Ora, fortunatamente sono finiti i bei tempi in cui intervistavano Materazzi, all'epoca giocatore dell'Inter, tra il primo e il secondo atto dell'Aida e lui forniva una critica ponderata e imprescindibile sulla scrittura operistica verdiana, ma la sapiente regia della Rai è sempre e comunque in grado di fornirci un quadro completo sui personaggi caratteristici che popolano ogni prima che si rispetti e che rovineranno qualunque tipo di relazione voi stiate in quel momento intrattenendo facendo credere a tutti che, in quanto amante dell'opera, siete o diventerete nel giro di pochi anni come loro:
  1. La signora impellicciata:
    Generalmente con la erre moscia, tendenzialmente anziana (molto anziana) e rifatta (molto rifatta); viene di solito intervistata non riguardo all'opera ma riguardo alla contestazione dei centri sociali che immancabilmente avviene fuori dalla Scala. Il che ha una sua motivazione razionale, visto che la signora impellicciata di solito fa dei discorsi non sempre intelligibili ma tendenzialmente a metà tra il "Quando c'era Lui tutto andava meglio!" (dove Lui è il tizio calvo dei treni di cui si diceva) e vaghe provocazioni sul fatto che quelli che sono a protestare non hanno voglia di lavorare. Quando ha finito di parlare, se siete fidanzati con una tipa solo vagamente di sinistra siete già stati lasciati e se siete fidanzati con una tipa molto di sinistra vi siete anche dovuti sorbire una lunga analisi sullo sfruttamento di classe che nemmeno Marx sotto acido nelle peggiori birrerie di Soho prima di mettere incinta la cameriera e far riconoscere il figlio a Engels.
  2. Quello che è lì per forza: generalmente calciatore del Milan o dell'Inter oppure personalità importante non meglio identificata: ballerino, politico - meglio se ministro o sindaco - cantante. Fin da quando iniziano a inquadrarlo è chiaro che vorrebbe essere in qualunque altro posto piuttosto che lì e sembra esprimere in modo abbastanza eloquente il suo disappunto per doversi sorbire quattro ore di Lohengrin. Il che, peraltro, indica ai popoli che, almeno una volta all'anno, una certa giustizia divina esiste e quando sarete depressi per il malfunzionamento del sistema economico (che la vostra fidanzata a questo punto vi avrà spiegato per quanto detto al punto precedente), per le storture del capitalismo o perché siete finiti sopra all'unica cacca di cane nel giro di chilometri con le scarpe nuove, pensate a Muntari che sta guardando i Maestri Cantori di Norimberga senza nemmeno potersi addormentare e la giornata vi sorriderà. Ma quello che è lì per forza ha anche un altro pregio: non può nemmeno rivoltarsi contro il destino cinico e baro che lo costringe a sorbirsi quattro ore di opera in tedesco senza dotarlo di acume sufficiente per notare l'esistenza di quel grande progresso della tecnica che sono i sopratitoli. No, deve dire anche che ha amato l'opera e infatti, quando lo intervistano, questo personaggio dice sempre che l'opera che sta per andare in scena o che è appena andata in scena è bellissima, un capolavoro, una cosa di cui l'Italia deve andare fiera (anche se si sta rappresentando il Boris Godunov, in cui l'unico italiano è il gesuita Rangoni sulla scena, che peraltro non è esattamente una figura esemplare). L'aspetto positivo di questo personaggio, oltre a soddisfare il vostro odio di classe, è anche che vi fa acquisire tanta autostima (della serie: se ce l'ha fatta lui...) oppure fa partire a vostro padre, che sta passando di lì per caso, il quarto d'ora populista in dialetto abruzzese stretto.

  3. Quello giovane:
    Ora, quello giovane non è un problema di per sé, sebbene ci siano anche i soggetti che ci mettono del loro (vedi i simpatici rampolli della buona borghesia milanese con papillon o vestito lungo e un livello di chiusura delle "e" che rasenta il patologico che vengono intervistati a volte nel foyer e che non brillano esattamente per acume). Il problema è che il giovane, che chiaramente viene inserito nella trasmissione soltanto per dimostrare che l'opera interessa anche agli under 65, è di solito fatto oggetto di domande che sono volte a dimostrare al pubblico over 65 della suddetta trasmissione che sì, hanno proprio ragione, i giovani d'oggi non sono svegli come una volta. Quindi, quello giovane è vittima inconsapevole di una vendetta transgenerazionale di cui si rende conto soltanto quando è troppo tardi e gli viene posta la fatidica domanda: "Violetta e Alfredo si amano. Per te l'amore è importante?" "Leonora lotta per quello in cui crede: tu sapresti farlo?" "Nell'opera ci sono due soprano, Liù e Turandot: tu quale personaggio preferiresti interpretare?" "Credi che l'opera serva a qualcosa oggi?". Qualcuno dovrebbe probabilmente spiegare agli autori delle domande che non è che lo sviluppo intellettuale delle generazioni successive al 1990 si sia fermato all'età di sette anni, pertanto non è strettamente necessario porre le stesse identiche domande che si farebbero a un bambino delle elementari. Va bene, negli ultimi vent'anni abbiamo avuto Moccia, gli 883, varie boy bands formate da figaccioni biondi e Britney Spears, ma non credo che ci abbiano distrutto il cervello più di quanto possa averlo fatto, nella generazione precedente, passare tutti gli anni Ottanta a cantare "Oooooh, meu amigo Charlie" e "Brigitte Bardot, Bardot" con annesso trenino. Perché le cose sono due: o la Rai è convinta che i giovani non siano capaci di pensiero autonomo o l'autore delle domande è un dadaista che vive nella speranza segreta che qualche simpatico giovane pinguino prima o poi, esasperato dal primo atto del Tannhäuser, esploda in un sonoro: "No, l'opera oggi non serve a niente, viva il Death Metal e le gare di rutti!"
  4. Dall'Ongaro e la tipa del TG2: Ora, a me Dall'Ongaro non dispiace (forse è vero che sono un po' vecchio e snob dentro), comunque se su Rai5 evitassero di fargli fare proprio tutti-tutti-tutti i programmi, dalle 8 di mattina fino a mezzanotte, forse si eviterebbe ogni tanto un certo effetto-saturazione. Ma così per dire, eh.
  5. Il personaggio nazional-patriottico: l'Italia è un grande paese. Ci sta o' sole, ci sta o' mare, ci stanno e' femmene e li masculi passionali (non necessariamente in quest'ordine di importanza) e c'è sempre qualcuno che ritiene essenziale ricordarcelo nel corso della prima della Scala, evento che si tiene in un luogo in cui non c'è il sole, non c'è il mare e che è rinomato più per essere la capitale italiana dei workaholics che per essere una versione nebbiosa di Ibiza. Nel caso in cui il personaggio nazional-patriottico sia un politico e vostro padre stia passando di nuovo di là, la sua intervista darà avvio alla seconda parte del quarto d'ora populista e vi permetterà di conoscere nuovi modi per insultare i vostri amici in un dialetto che loro non capiscono. L'Abruzzese senza sforzo con Assimil.
Tutto questo mi rende molto simpatico Muti, che, con un certo sadismo, ammorbava la suddetta utenza della Prima con opere lunghissime, pallosissime e tendenzialmente anche non eccezionali musicalmente (raggiungendo l'apice con la musicalmente dimenticabile Europa Riconosciuta del 2004). Muti herói do povo.

Ma passiamo oltre e veniamo al motivo della nostra discussione di oggi...

2. Affinità/divergenze tra il Compagno Baremboim e me

Una volta che i vostri amici vi hanno isolato, che la vostra fidanzata vi ha lasciato perché credeva che foste una persona normale, potete mettervi rigorosamente da soli a vedere la prima. Tra l'altro, potete farlo dopo esservi arricchiti interiormente in quanto avete appreso una lingua straniera e potete comunicare con gli anziani seduti sulle panchine di Pescara senza scambiarli per agenti dell'ISIS in incognito perché alla vostra richiesta di informazioni rispondono cose come: "Lu 'bbar shta'llà" oppure "Mo' sting' stracc' e nun m'arcord' 'bben'."

Ed è quello che ho fatto io il 7 dicembre scorso (per essere precisi, eravamo io, mia sorella e tre pizze ai würstel)...


...quando è stato trasmesso il Fidelio di Beethoven. Va bene, concedo che non è la cosa più cool del mondo schiaffarsi quattro ore davanti alla televisione per vedere la Prima della Scala, però, considerando che, in quanto studente di medicina, l'alternativa è vedere serie televisive mediche e cercare gli errori, è la scelta migliore che possa fare. Per inciso, la scelta di cui sopra non è così banale, conosco un sacco di gente che guarda Dottor House solo per poter poi comunicare ai suoi amici che seguono corsi di studio diversi che no, la sarcoidosi non si manifesta in quel modo; gli anni di studi medici fanno sviluppare tante simpatiche psicopatologie, comunque, non divaghiamo troppo.

Grande opera, il Fidelio; certo, è un'opera che non scritta in modo esattamente amichevole per i cantanti, ma del resto si sa che il vecchio Ludovico Van non era molto ferrato sull'argomento, vedi le note di passaggio ribattute ad libitum nella Nona Sinfonia. Purtroppo, lo scorso 7 dicembre, il buon Baremboim, alla sua ultima direzione alla Scala, doveva essere stato colpito da una inedita vena megalomane e si era convinto, come Aldo, Giovanni e Giacomo in Tre uomini e una gamba che "'sta schifezza di opera se la scrivevo io la facevo meglio"...


...pertanto ha ritenuto opportuno sostituire l'ouverture del Fidelio che viene comunemente eseguita e che è questa...


...con la Leonora II (dopo vi spiego che cos'è), che è questa:


Il che, oltre ad avermi causato una discreta incazzatura sul divano di casa con mezza pizza in bocca e avermi mostrato l'utilità del vocabolario di insulti in abruzzese appreso in precedenza (sono una persona strana, lo ammetto, ma sono stati gli studi medici, prima ero una persona meglio, come Robert), mi ha costretto - cosa che odio - a trovarmi d'accordo con Paolo Isotta, l'uomo che continuavano a chiamare (a ragion veduta) acidità.

L'analisi di Isotta (che potete leggere qui) è infatti essenzialmente corretta: non ci sono giustificazioni valide per sostituire l'ouverture di Fidelio, ouverture che fu inserita personalmente da Beethoven nell'ultima versione dell'opera, nel 1814, con la Leonora II. Certo, la Leonora II è più bella dell'ouverture del Fidelio, ma il criterio per le scelte artistiche non dovrebbe essere la bellezza; peraltro, Baremboim non è nuovo a scelte stravaganti, vedi il Don Giovanni di qualche anno fa diretto con una pesantezza quasi wagneriana e con Bryn Terfel e la Netrebko che sembravano non essersi accorti che non stavano cantando l'Otello di Verdi ma un'opera che era stata scritta un buon centinaio di anni prima.

Ma cos'è la Leonora II e perché la scelta di Baremboim è, a mio parere, scorretta?

Per scoprirlo dobbiamo fare un passo indietro e ripercorrere la travagliata gestazione del Fidelio.

E sarà quello che faremo nella prossima puntata...

Hasta pronto, chicos!

P.S. se il magico mondo dell'Abruzzese vi ha interessato e avete deciso di apprenderlo a scuola al posto dell'Inglese perché a Londra tanto non ci andrete mai mentre Chieti e Tortoreto sono al primo posto tra le vostre mete per emigrare (a meno, of course, che non siate nativi, in tal caso vi prego di non spararmi addosso per la pessima conoscenza della lingua - come si dice in Abruzzese I'm not a native speaker?), vi consiglio questo breve compendio della lingua fatto da un blogger che ha più pratica della lingua di me.