Come avrete notato, da qualche mese erano sparite le immagini dal blog per problemi relativi al cambio di mail associato all'account blogspot. Ora sto iniziando a ripristinarle; ho già effettuato il ripristino per metà dei post, nei prossimi giorni dovrei riuscire a ripristinarle in tutto il blog.
Mi dispiace per la problematica e per il ritardo nella risoluzione, ma ho avuto un discreto numero di cosette da fare in questi mesi.
In ogni caso...
Stay tuned!
domenica 9 luglio 2017
domenica 27 marzo 2016
Viva los locos, que inventaron el amor! - Qualche nota su "Balada para un loco"
A dicembre, nel 1969, l'arrivo dell'estate a Buenos Aires portava con sé la nascita di uno dei capolavori del tango dopo il periodo "classico" del vari Gardel e Discépolo. Gli autori erano Astor Piazzolla, che stava continuando la sua opera di decostruzione e ricostruzione del tango tradizionale miscelandolo con il jazz e la musica classica, e Horacio Ferrer, poeta uruguagio trapiantato dall'altra parte del Rio de la Plata.
Piazzolla, che aveva iniziato come bandoneonista dell'orchestra di Anibal Troilo, era giunto alla visione di un tango fatto di cambi di tempo repentini, con sezioni musicali distinte, ben lontano dalla regolarità del tango-canzone e vicino piuttosto alle ampie architetture delle cattedrali sinfoniche di Mahler o del jazz "colto" di Duke Ellington. In effetti, a mio parere ci sono varie somiglianze tra Piazzolla ed Ellington: entrambi erano partiti da una musica che aveva schemi estremamente semplici e stereotipati (il tango per Piazzolla e il jazz per Duke). Entrambi avevano preso quelle strutture e le avevano stravolte, creando forme di ampio respiro e dando ai rispettivi generi una dignità perlomeno pari a quella della musica colta europea.
Ferrer, che è morto un anno fa, il 21 dicembre del 2014, amava la notte porteña e i suoi personaggi matti e sognanti, le sue puttane e i suoi ragazzi di strada. Diceva che tale amore gli veniva dalla sua famiglia: i genitori, pur vivendo a Montevideo, passavano spesso il Rio de la Plata per andare a incontrare dei parenti che vivevano a Buenos Aires e quelle visite sovente terminavano con l'immersione nella vita notturna della capitale argentina. Visse per gran parte della sua vita in un albergo, l'Hotel Alvear di Buenos Aires, ma l'aspetto un po' eccentrico che ci viene restituito dalle foto non deve ingannare: anche Ferrer fece la rivoluzione.
Ferrer amava recitare poesie, non solo scriverle. Diceva che la poesia aveva per lui una componente teatrale, era una miscela di pittura e teatro ed era, questa, una visione che gli veniva da lontano. La madre di Ferrer, infatti, aveva imparato a recitare versi dalla poetessa argentina Alfonsina Storni e a sua volta aveva insegnato al figlio a farlo e quindi non è sorprendente che poi il buon Horacio dichiarasse:
I versi non sono fatti per essere letti, sono fatti per essere ascoltati, come la musica.
E tutto questo passò nei testi che Ferrer scrisse per Piazzolla: nelle canzoni della coppia Piazzolla-Ferrer, il cantante molto spesso deve recitare, invece che cantare, descrivere situazioni, parlare con il pubblico. Un approccio alquanto diverso rispetto al tango-canzone di Gardel, in cui il ruolo della recitazione era strettamente limitato e in cui il canto era preponderante.
In ogni caso, nel dicembre 1969 Piazzolla e Ferrer scrivono una canzone, Balada para un loco, e la presentano al festival Iberoamericano della Danza e della Canzone che si teneva a Buenos Aires dal 9 al 14 dicembre. La canzone non vince (secondo Ferrer per un imbroglio dell'organizzazione del festival, che preferiva il tango tradizionale a quello nuevo di Piazzolla) e, anzi, viene duramente contestata. Il lunedì successivo alla serata finale del concorso viene pubblicata in disco e vende 200.000 copie solo nella prima settimana. Un successo enorme, che premia una canzone che oscilla tra un tempo di valzer e un ritornello più vicino ritmicamente al tango e che segue l'errare nella sera di Buenos Aires di un matto e di una donna che "sembra essere l'unica a vederlo".
Una canzone che si racchiude in un verso: "Viva i matti, che inventarono l'amore".
Questa è la versione di Lavie con Piazzolla...
...anche se la mia versione preferita è quella del "Polaco" Goyeneche, che secondo me ha quella malinconia che è connaturata a questa canzone:
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Morire a Buenos Aires: Horacio Ferrer, poeta del nuovo tango - Parte seconda: morire a Buenos Aires
1. Le "Baladas"
Dopo María de Buenos Aires, Piazzolla e Ferrer fanno un patto: collaboreranno per cinque anni in modo esclusivo, nessuno dei due potrà lavorare con altri autori, in modo da consolidare un loro stile. E lo stile della coppia Piazzolla-Ferrer inizia a poco a poco ad emergere: essi cominciano a scrivere delle baladas (delle canzoni, potremmo dire) che si presentano in modo molto diverso rispetto alle canzoni del tango tradizionale.
Ferrer inserisce infatti nelle baladas un elemento nuovo, cioè l'alternanza tra parti cantate e parti recitate. E', questo, un elemento che era già in parte presente nel tango tradizionale, quello di Carlos Gardel, per intenderci, ma in misura molto più limitata: là vi era, sporadicamente, la presenza di una ripetizione recitata di versi che erano stati precedentemente cantati, mentre nelle canzoni della coppia Piazzolla-Ferrer la recitazione ha un ruolo molto più importante. Nelle parti recitate, spesso la voce narrante presenta se stessa oppure presenta il protagonista o, ancora, introduce l'atmosfera e l'ambiente entro i quali la vicenda si svolgerà.
E' Ferrer stesso a porre in continuità tutto questo con la tradizione: egli dichiarò infatti in un'occasione che
Gardel disse in un reportage che il Tango era cantato e recitato. Lui recitava molto e molto bene. Il recitato permette di esplorare un filone che è fondante, nel genere: la drammaticità teatrale. In tutto il tango [...] c'è sempre qualcuno che parla conversando o chiamando un interlocutore invisibile.
E' Ferrer stesso a porre in continuità tutto questo con la tradizione: egli dichiarò infatti in un'occasione che
Gardel disse in un reportage che il Tango era cantato e recitato. Lui recitava molto e molto bene. Il recitato permette di esplorare un filone che è fondante, nel genere: la drammaticità teatrale. In tutto il tango [...] c'è sempre qualcuno che parla conversando o chiamando un interlocutore invisibile.
(Riportato in E.Pellejero, H.Ferrer, el poeta de la redención)
Tuttavia, come sappiamo, l'idea di dare alla poesia una dimensione drammatica, confinante con il teatro, è qualcosa che appartiene più alla poetica di Ferrer che a una tradizione consolidata: abbiamo già visto come, dopo la pubblicazione del Romancero canyengue, il nostro Horacio recitasse le sue poesie facendosi accompagnare da un chitarrista ed è sempre nel saggio di Pellejero che troviamo un'altra dichiarazione di Ferrer che ci mostra come per lui la dimensione teatrale fosse connaturata alla sua idea di scrittura:
Non sento i miei versi propriamente come poesia, ma come una miscela di teatro e pittura. Li visualizzo.
Quindi, l'elemento peculiare dei testi scritti da Ferrer per Piazzolla è la drammatizzazione del tango e la raggiunta indipendenza delle parti recitate rispetto alle parti cantate: le parti recitate sono spesso la parte più importante della balada, sono il luogo in cui si racconta la storia, mentre le parti cantate hanno spesso un ruolo narrativamente più marginale.
A questa dicotomia cantato-recitato che Ferrer crea stravolgendo la tradizione precedente del tango canzone, corrisponde una mutazione altrettanto marcata della componente musicale apportata da Astor Piazzolla, che scrive musiche piene di cambi di tempo, che fanno sì che, nell'ambito della stessa balada, ci siano più forme ritmiche.
2. "Quiereme así piantao": Balada para un loco
Per chiarire meglio quello che abbiamo detto sulla nuova forma di tango canzone creata da Piazzolla e Ferrer, possiamo parlare di Balada para un loco.
Balada para un loco è probabilmente una delle canzoni più note della coppia Piazzolla-Ferrer, se non addirittura la più nota. Fu scritta nel 1969 per il primo festival iberoamericano della Danza e della Canzone, che si svolse per sei giorni, dal 9 al 14 dicembre, nello stadio Luna Park di Buenos Aires. A interpretarla era Amelita Baltar, nota cantante di tango e all'epoca moglie di Piazzolla.
La canzone non vinse il festival: secondo quanto dice Ferrer in questa intervista, la giuria, formata tra gli altri da Vinicius de Moraes e dalla cantautrice peruviana Chabuca Granda, aveva attribuito il punteggio maggiore a Balada para un loco; tuttavia, l'organizzazione del festival, legata ad una visione del tango più tradizionalista e che non vedeva quindi di buon occhio il nuevo tango di Piazzolla, fece in modo che vincesse la più ortodossa Hasta el último tren, interpretata da Jorge Sobral.
Anche il clima della serata finale del premio, che si tenne il 14 dicembre, fu molto teso, con una parte del pubblico che era ancora legata alla visione tradizionale del tango e che contestò vivacemente l'esecuzione di Balada para un loco. Nelle parole di Amelita Baltar:
Quella notte ho rotto la cerniera del vestito per la tensione che avevo, c'erano molti che fischiavano e mi insultavano mentre cantavo...
(da Todavía piantaos, pubblicato su La Nacíon del 13 novembre 1999)
Piazzolla e Ferrer non ottennero così i 7.500 dollari del primo premio, ma non fu un grosso problema: infatti, il lunedì successivo la canzone fu pubblicata in disco con Chiquilín de Bachín come lato B e solo nella prima settimana ne furono vendute più di 200.000 copie.
La Balada racconta la storia, a metà tra realtà e sogno, dell'incontro tra un matto e una donna nella sera porte ña ed esprime bene la visione di Ferrer del Tango come miscela di cantato e recitazione: qui, di fatto, la parte cantata è limitata al solo ritornello, mentre la creazione dell'atmosfera e la presentazione del personaggio del piantao, termine che in lunfardo, il dialetto di Buenos Aires, indica il matto, sono affidate alla recitazione.
La Balada racconta la storia, a metà tra realtà e sogno, dell'incontro tra un matto e una donna nella sera porte ña ed esprime bene la visione di Ferrer del Tango come miscela di cantato e recitazione: qui, di fatto, la parte cantata è limitata al solo ritornello, mentre la creazione dell'atmosfera e la presentazione del personaggio del piantao, termine che in lunfardo, il dialetto di Buenos Aires, indica il matto, sono affidate alla recitazione.
Su questa dicotomia canto-recitazione Piazzolla costruisce una bipartizione anche della melodia: infatti, la parte recitata è accompagnata da un ritmo di valzer, mentre la parte cantata ha una cadenza di tango e questo consente anche di creare un climax interno alla canzone.
Potete trovare il testo e la traduzione di Balada para un loco su questo sito, mentre di seguito potete sentire la versione della canzone eseguita da Piazzolla con Amelita Baltar e la versione di Roberto "El Polaco" Goyeneche.
3. Morire a Buenos Aires
Oggi che Dio smette di sognarmi
verso il mio oblio andrò per Santa Fe
So che nel nostro angolo ci sei già tu
Piena di tristezza fino ai piedi
(Horacio Ferrer, Balada para mi muerte)
Horacio Ferrer a Buenos Aires viveva nell'Hotel Alvear, nel quartiere della Recoleta; vi si stabilì nel 1976 e vi rimase per tutta la vita. Diceva di vivere in quel luogo perché dalla sua stanza si poteva avere una splendida vista di Buenos Aires. Occupava, all'ottavo piano, insieme alla moglie Lucía Michelli (che lui chiamava Lulú), una camera con due balconi dalla quale si poteva vedere gran parte di Buenos Aires, il Rio de la Plata e da cui addirittura lo sguardo si poteva spingere fino alla costa dell'Uruguay dove Ferrer era nato. Qui si dedicava a quella ilusión hermosa che per lui era la poesia, svegliandosi tardi (a mezzogiorno, abitudine che giustificava così: "Mi piace stare sveglio la notte e mi fa bene dormire dieci ore; inoltre, i medici mi raccomandano di essere dormiglione") e immergendosi nella raffinatezza e nella discrezione dell'albergo.
Quando morì, il 21 dicembre 2014, lasciò dietro di sé i testi di baladas memorabili come Chiquilín de Bachín, La bicicleta blanca, Balada para mi muerte e l'immagine leggera di un poeta che aveva vissuto secondo le proprie inclinazioni, che aveva amato la notte porteña e che ne aveva cantato i personaggi e le atmosfere. Non so se sia riuscito a morire all'alba, alle sei, come aveva predetto in Balada para mi muerte; quello di cui non possiamo dubitare è che quel giorno in cui Dio ha smesso di sognarlo lo spirito di Ferrer si sia fatto un ultimo giro nelle strade della città di cui aveva saputo distillare la poesia e abbia poi atteso la morte innamorata per ballare con lei l'ultimo tango.
Di seguito trovate la versione di Mina e Piazzolla di Balada para mi muerte; a questo link trovate il testo e la traduzione della canzone.
giovedì 25 febbraio 2016
Le romantiche proletarie dell'amore: "La última grela" di Horacio Ferrer e Astor Piazzolla
La poesia La última grela viene pubblicata da Horacio Ferrer nel Romancero canyengue nel 1967. Ferrer non ha ancora conosciuto Piazzolla, ma già ha quella concezione del verso come qualcosa di destinato prevalentemente alla recitazione e al canto che poi caratterizzerà la sua produzione successiva. "I versi sono musica che parla", dice e quindi presenta la raccolta recitando le poesie in essa contenute con l'accompagnamento musicale del chitarrista Augustín Carlevaro.
Il Romancero canyengue è la prima raccolta di poesie di Ferrer, che in precedenza si era dedicato soprattutto al teatro. Secondo Ferrer, nei versi qui raccolti egli per la prima volta riuscì a riconoscere una propria identità di poeta:
Iniziai [a scrivere poesia] imitando Verlaine, i francesi, [...] non trovavo una poesia che mi appartenesse. A Montevideo c'era un poeta di quartiere, Menecucho, che andava sui palchi a Carnevale. Recitava i suoi versi e li vendeva per pochi soldi. E terminava dicendo: "I miei versi sono brutti... ma sono miei." E io imparai questo. E io in quel momento non avevo né versi belli... né versi miei. Fino a che venne l'ispirazione, lo stile e la redazione del Romancero canyengue.
Il Romancero portò bene a Ferrer. Arrivò nelle mani di un certo Astor Piazzolla, che era in cerca di qualcuno che potesse scrivere dei versi che si adattassero alla rivoluzione che egli aveva portato nel tango; aveva lavorato con molti, Borges incluso, ma non era ancora soddisfatto dei risultati. Il Romancero canyengue gli fece capire di aver infine trovato quello che cercava: "Vieni a lavorare con me - disse a Ferrer - perché la mia musica è uguale ai tuoi versi!"
Racconta Ferrer:
Dopo l'apparizione del libro, Piazzolla mi venne a cercare e disse: "Se non vieni a lavorare con me, sei un imbecille". E io ci andai. In quel momento, rinunciai a un posto ben pagato di segretario dell'Università di Montevideo.
Ferrer si trasferì a Buenos Aires e iniziarono così le vicende della coppia Ferrer-Piazzolla, per me tra le più grandi della storia della musica (a mio parere insieme a - cito a memoria e in ordine sparso - Mozart-Da Ponte, Bellini-Romani, Verdi-Boito, Lennon-McCartney e Battisti-Mogol, ma il tutto è chiaramente opinabile). I due avrebbero inaugurato la loro collaborazione poco tempo dopo scrivendo l'opera María de Buenos Aires.
Ma dicevamo dell'Ultima grela. Ferrer l'aveva scritta perché fosse musicata da Aníbal Troilo, alla fine la musica fu di Piazzolla. Il termine Grela è uno dei tanti che Ferrer riprende dal lunfardo, il dialetto di Buenos Aires, quel dialetto che secondo alcuni studiosi è più vicino alla lingua napoletana che allo spagnolo. Le Grelas sono le prostitute, le romantiche proletarie dell'amore, come le chiama Ferrer nell'introduzione recitata alla canzone, quelle prostitute che il poeta immagina perdersi negli infiniti rivoli della notte, dietro sogni impossibili e dietro un destino beffardo come quello dei personaggi dell'Antologia di Spoon River:
Con uno slancio folle da Madame Bovary di Barracas al Sur si giocarono la vita nei tanghi. Qualcuna si innamorò di quel bandoneonista e per amore vinse. Per altre la sconfitta fu grande e finirono per badare al guardaroba delle donne che lavoravano in quegli stessi cabaret [in cui esse avevano "esercitato" un tempo]
Il tango parla dell'ultima di queste prostitute, che avanza con i suoi grandi occhi tristi in una Buenos Aires spettrale, fino ad essere inghiottita dall'oblio.
E' un tango che amo, perché è pervaso, nella prima parte recitata, dalle luci abbaglianti di una Buenos Aires notturna persa nel calore del ricordo, con i suoi cabaret, le sue donne bellissime, le sue prostitute assonnate intente a fare colazione con la cioccolata al mattino. Ma il calore si disperde progressivamente e alla fine il passato svanisce e rimane solo un presente di solitudine, di gelo e di rimpianto.
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What became of the likely lads? - La reunion dei Libertines
Ho letto che i Libertines hanno fatto un nuovo disco e mi sono reso conto che Up the Brackets, che comprai nel 2004 alla veneranda età di tredici anni e che rimase nel mio lettore per il modico tempo di tre mesi (al tempo mi innamoravo facilmente e con molta intensità) è vecchio ormai quasi dodici anni. Non ho fatto grosse riflessioni sul tempo che passa, mi sono limitato semplicemente a mettere il disco sul lettore e notare che, nonostante i cattivi auspici di chi all'epoca diceva che dopo cinque anni i CD si sarebbero deteriorati e non avrebbero funzionato più, suona ancora e non salta nemmeno.
Comunque, i Libertines mi piacevano. Personalmente, non sono particolarmente bendisposto nei confronti dei gruppi nuovi; non dico che la musica sia morta con John Bonham degli Zep come sosteneva qualcuno ma, insomma, diciamo che la morte di Kurt Cobain e la fine del grunge hanno messo una pietra tombale su tante cose. Eppure, quell'album sembrava stranamente parlare del presente e a modo suo raccontarlo, parlare anche di me. E farlo bene.
L'album successivo era ancora meglio, secondo me. Mi rimane una frase, segnata sul diario di scuola e poi ricopiata per due o tre anni, in seguito: "Il ragazzo tirava calci al mondo, ma i calci del mondo facevano molto più male". Ci vedevo me stesso, in quella frase, diviso tra il desiderio di dire che in qualche modo c'ero anch'io ed ero diverso dagli altri e la paura che la reazione di chi mi circondava non fosse esattamente di accoglienza.
Era la sciocca adolescenza di cui parla Guccini che anch'io vissi per un po' con un vuoto mito americano/di terza mano e con gli inglesissimi Libertines nel lettore CD.
Poi, successero varie cose. Il gruppo era guidato da Carl Barat e Pete Doherty e quest'ultimo, che all'epoca si prendeva e si lasciava con Kate Moss, aveva problemi di droga. Lo buttarono fuori dalla band e i Libertines si sciolsero, uscendo così anche dal mio orizzonte musicale. Doherty fondò i Babyshambles, Barat fece qualcos'altro, ma ormai le cose erano cambiate e quelle canzoni che io avevo sentito mie, che avevano descritto perfettamente come mi sentivo in quel periodo non avrebbero avuto seguito.
Ora "Up the brackets" è finito, metto sul lettore CD "The Libertines" e riascoltando "Can't stand me now" sorrido. Perché forse, nonostante tutto il tempo che è passato, sono ancora quel ragazzo che voleva tirare calci al mondo.
L'ultimo romantico: qualche parola su Mahler...
Dicevano i Romantici che il grande autore è colui che sa unire alto e basso e non a caso essi rivalutarono e presero ad esempio Dante e Shakespeare. Se l’assunto è vero, allora Mahler è stato l’autore romantico per eccellenza. Già, perché nella musica di Mahler l’alto e il basso si fondono in modo naturale e quasi spontaneo: all'interno della complessità formale di sinfonie come la “Settima” (tuttora una delle sue opere meno eseguite) troviamo melodie da banda, temi da giostra di paese, musiche dal sapore gitano. Nella sua Prima Sinfonia, la lugubre marcia funebre del terzo movimento altro non è che la versione in minore della popolare canzone francese Frère Jacques (cioè Fra Martino, né più né meno): Mahler ne prende il tema apparentemente banale e lo trasforma, affidandolo al contrabbasso solo e rendendolo capace di evocare l’incisione che aveva trovato su un libro di fiabe, in cui gli animali del bosco portano al luogo della sepoltura la bara del cacciatore.
Ma Mahler non fu solo compositore. Fu anche uno dei direttori d’orchestra più celebri della sua epoca e il suo stile di direzione ieratico e apparentemente privo di una rigida scansione ritmica colpì molti, all’epoca. Tra questi, un ragazzino austriaco di diciassette anni di cui in seguito si sarebbe parlato abbastanza, che verso il 1906 andò a vedere la recita di un Tristan und Isolde di Wagner diretto da Mahler a Graz. Fu per lui una folgorazione, che lo fece innamorare dell’opera di Wagner al punto, alcuni anni dopo, di cercare in tutti i modi di entrare nella poco raccomandabile corte dei miracoli che si era riunita intorno ai discendenti del compositore tedesco a Bayreuth. Il ragazzino era Adolf Hitler ed è abbastanza inquietante pensare che l’uomo che sterminò sei milioni di Ebrei nell’ambito della Soluzione Finale abbia avuto la sua iniziazione al culto di Wagner proprio grazie a un musicista ebreo come Mahler. Di certo, fa capire che non necessariamente la musica migliora gli uomini, a dispetto di quello che diceva Goethe. A volte fa semplicemente sì che decidano, al termine di una guerra costata milioni di morti, di far bruciare il proprio cadavere come la salma di Sigfrido al termine del Gotterdaummerung.
Forse Hitler immaginava che nel cortile della cancelleria del Reich, prima di dare fuoco al suo corpo cosparso di benzina avvolto in un tappeto, qualcuno avrebbe cantato, come Brunilde:
BRUNILDE
(è sola nel mezzo della scena ; dopo aver lungamente contemplato Sigfrido , prima con profonda commozione , superando la propria angoscia si volge verso le genti con solenne esaltamento)
Là, una catasta ergetemi,
Sui margini del Reno! fulgido, eccelso
Il foco avvampi, che le forti membra
Del sommo eroe consunte renderà !
Si guidi al rogo il suo destriero, ond'esso
Lo segua : dell'eroe partire il fato
Desio supremo è delle carni mie !
Si compia il voto di Brunilde !
Non ebbe vita facile, Mahler. Nonostante la fama ottenuta come direttore e come compositore, incontrò sempre sulla sua strada lo spettro dell’antisemitismo, che, come già avvenuto anni prima per Mendelssohn in Germania, rese estremamente difficile il suo lavoro a Vienna. Nel 1909 andò in America, dove ottenne un notevole successo, ma dovette ritornare precipitosamente in patria per via dell’aggravamento di un’endocardite batterica di cui soffriva dal 1906 e di cui morì, nel 1911, a cinquant’anni.
La sua opera fu un ponte tra la Vienna felix degli Strauss, oggi celebrata nei vari concerti di capodanno in tutto il mondo, e la Vienna inquieta da cui emergeranno Schoenberg, Berg, Webern. Egli scrisse su un ponte teso tra la vita quotidiana, la musica udita nelle strade, nei locali, e la trascendenza, il desiderio di elevarsi fino al cielo, di penetrare l’ignoto. E di poter dire, come nei versi di Klopstock messi in musica al termine della sua Seconda Sinfonia (La Resurrezione):
Auferstehn, ja, auferstehn wirst du,
Mein Staub, nach kurzer Ruh’
…cioè:
Risorgerai, sì, risorgerai
Mia polvere, dopo breve quiete
domenica 29 novembre 2015
La sigaretta di Gardel - Ascoltando "Volver"...
La tomba di Gardel si trova nel Cementerio de la Chacarita, a Buenos Aires, che per molti versi è un po' il Père Lachaise del tango. Qui sono sepolti, tra gli altri, Enrique Discépolo, tra i più grandi autori di tanghi, "El Polaco" Roberto Goyeneche e il bandoneonista Anibal Troilo, nella cui orchestra suonò anche Piazzolla agli inizi della sua carriera. Ci è anche sepolto colui che, con i suoi scritti, mi ha fatto scoprire il tango, Osvaldo Soriano.
Nel cimitero, c'è una statua di Gardel. Gli argentini vanno ad accendere la sigaretta alla statua, dicono che porti fortuna. Forse è così, quando riuscirò ad andare a Buenos Aires verificherò di persona.
Di certo c'è che in questo inizio di inverno, quando l'anticiclone che ci aveva protetto dal gelo inizia a fuggire verso est (o verso ovest? Non ho mai capito molto di metereologia), ancora vado a cercare su YouTube "Volver". Mi fa sorridere ricordare come l'ho conosciuta, sentita per caso in un film di Almodovar che andai a vedere in uno di quei cinema estivi che per tre euro ridanno tutto quello che è uscito l'inverno precedente. Eppure, benché l'abbia conosciuta per caso, questa canzone per molti versi rappresenta un desiderio che ho avuto spesso, quello di tornare.
Tornare dove? In un luogo della memoria, in un luogo dove, come quella poesia di Baudelaire tutto è ordine, calma, voluttà. Ai miei sedici anni, forse, quando sapevo poco e quel poco mi bastava, o forse ai miei diciotto, a quella voglia di vivere, di conoscere, di andare avanti. Di crescere.
Eppure, oggi, riascoltandola, mi rendo conto che non voglio tornare. Non ho nostalgia del passato, nonostante l'inverno alle porte e la pioggia che ieri mi ha inzuppato fino alle ossa ritornando dal centro (se a questo giro evito la broncopolmonite vuol dire che il mio sistema immunitario si è dopato, non c'è altra spiegazione). Voglio andare avanti, ora, e ritrovare con la voglia di vivere la mia giovinezza, che credevo di aver perduto.
E quindi ascolto questa canzone con un sorriso, con il sorriso del marinaio che lascia la terra per riabbracciare, finalmente, l'oceano.
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