A dicembre, nel 1969, l'arrivo dell'estate a Buenos Aires portava con sé la nascita di uno dei capolavori del tango dopo il periodo "classico" del vari Gardel e Discépolo. Gli autori erano Astor Piazzolla, che stava continuando la sua opera di decostruzione e ricostruzione del tango tradizionale miscelandolo con il jazz e la musica classica, e Horacio Ferrer, poeta uruguagio trapiantato dall'altra parte del Rio de la Plata.
Piazzolla, che aveva iniziato come bandoneonista dell'orchestra di Anibal Troilo, era giunto alla visione di un tango fatto di cambi di tempo repentini, con sezioni musicali distinte, ben lontano dalla regolarità del tango-canzone e vicino piuttosto alle ampie architetture delle cattedrali sinfoniche di Mahler o del jazz "colto" di Duke Ellington. In effetti, a mio parere ci sono varie somiglianze tra Piazzolla ed Ellington: entrambi erano partiti da una musica che aveva schemi estremamente semplici e stereotipati (il tango per Piazzolla e il jazz per Duke). Entrambi avevano preso quelle strutture e le avevano stravolte, creando forme di ampio respiro e dando ai rispettivi generi una dignità perlomeno pari a quella della musica colta europea.
Ferrer, che è morto un anno fa, il 21 dicembre del 2014, amava la notte porteña e i suoi personaggi matti e sognanti, le sue puttane e i suoi ragazzi di strada. Diceva che tale amore gli veniva dalla sua famiglia: i genitori, pur vivendo a Montevideo, passavano spesso il Rio de la Plata per andare a incontrare dei parenti che vivevano a Buenos Aires e quelle visite sovente terminavano con l'immersione nella vita notturna della capitale argentina. Visse per gran parte della sua vita in un albergo, l'Hotel Alvear di Buenos Aires, ma l'aspetto un po' eccentrico che ci viene restituito dalle foto non deve ingannare: anche Ferrer fece la rivoluzione.
Ferrer amava recitare poesie, non solo scriverle. Diceva che la poesia aveva per lui una componente teatrale, era una miscela di pittura e teatro ed era, questa, una visione che gli veniva da lontano. La madre di Ferrer, infatti, aveva imparato a recitare versi dalla poetessa argentina Alfonsina Storni e a sua volta aveva insegnato al figlio a farlo e quindi non è sorprendente che poi il buon Horacio dichiarasse:
I versi non sono fatti per essere letti, sono fatti per essere ascoltati, come la musica.
E tutto questo passò nei testi che Ferrer scrisse per Piazzolla: nelle canzoni della coppia Piazzolla-Ferrer, il cantante molto spesso deve recitare, invece che cantare, descrivere situazioni, parlare con il pubblico. Un approccio alquanto diverso rispetto al tango-canzone di Gardel, in cui il ruolo della recitazione era strettamente limitato e in cui il canto era preponderante.
In ogni caso, nel dicembre 1969 Piazzolla e Ferrer scrivono una canzone, Balada para un loco, e la presentano al festival Iberoamericano della Danza e della Canzone che si teneva a Buenos Aires dal 9 al 14 dicembre. La canzone non vince (secondo Ferrer per un imbroglio dell'organizzazione del festival, che preferiva il tango tradizionale a quello nuevo di Piazzolla) e, anzi, viene duramente contestata. Il lunedì successivo alla serata finale del concorso viene pubblicata in disco e vende 200.000 copie solo nella prima settimana. Un successo enorme, che premia una canzone che oscilla tra un tempo di valzer e un ritornello più vicino ritmicamente al tango e che segue l'errare nella sera di Buenos Aires di un matto e di una donna che "sembra essere l'unica a vederlo".
Una canzone che si racchiude in un verso: "Viva i matti, che inventarono l'amore".
Questa è la versione di Lavie con Piazzolla...
...anche se la mia versione preferita è quella del "Polaco" Goyeneche, che secondo me ha quella malinconia che è connaturata a questa canzone:
Dopo María de Buenos Aires, Piazzolla e Ferrer fanno un patto: collaboreranno per cinque anni in modo esclusivo, nessuno dei due potrà lavorare con altri autori, in modo da consolidare un loro stile. E lo stile della coppia Piazzolla-Ferrer inizia a poco a poco ad emergere: essi cominciano a scrivere delle baladas (delle canzoni, potremmo dire) che si presentano in modo molto diverso rispetto alle canzoni del tango tradizionale.
Ferrer inserisce infatti nelle baladas un elemento nuovo, cioè l'alternanza tra parti cantate e parti recitate. E', questo, un elemento che era già in parte presente nel tango tradizionale, quello di Carlos Gardel, per intenderci, ma in misura molto più limitata: là vi era, sporadicamente, la presenza di una ripetizione recitata di versi che erano stati precedentemente cantati, mentre nelle canzoni della coppia Piazzolla-Ferrer la recitazione ha un ruolo molto più importante. Nelle parti recitate, spesso la voce narrante presenta se stessa oppure presenta il protagonista o, ancora, introduce l'atmosfera e l'ambiente entro i quali la vicenda si svolgerà.
E' Ferrer stesso a porre in continuità tutto questo con la tradizione: egli dichiarò infatti in un'occasione che
Gardel disse in un reportage che il Tango era cantato e recitato. Lui recitava molto e molto bene. Il recitato permette di esplorare un filone che è fondante, nel genere: la drammaticità teatrale. In tutto il tango [...] c'è sempre qualcuno che parla conversando o chiamando un interlocutore invisibile.
(Riportato in E.Pellejero, H.Ferrer, el poeta de la redención)
Tuttavia, come sappiamo, l'idea di dare alla poesia una dimensione drammatica, confinante con il teatro, è qualcosa che appartiene più alla poetica di Ferrer che a una tradizione consolidata: abbiamo già visto come, dopo la pubblicazione del Romancero canyengue, il nostro Horacio recitasse le sue poesie facendosi accompagnare da un chitarrista ed è sempre nel saggio di Pellejero che troviamo un'altra dichiarazione di Ferrer che ci mostra come per lui la dimensione teatrale fosse connaturata alla sua idea di scrittura:
Non sento i miei versi propriamente come poesia, ma come una miscela di teatro e pittura. Li visualizzo.
Quindi, l'elemento peculiare dei testi scritti da Ferrer per Piazzolla è la drammatizzazione del tango e la raggiunta indipendenza delle parti recitate rispetto alle parti cantate: le parti recitate sono spesso la parte più importante della balada, sono il luogo in cui si racconta la storia, mentre le parti cantate hanno spesso un ruolo narrativamente più marginale.
A questa dicotomia cantato-recitato che Ferrer crea stravolgendo la tradizione precedente del tango canzone, corrisponde una mutazione altrettanto marcata della componente musicale apportata da Astor Piazzolla, che scrive musiche piene di cambi di tempo, che fanno sì che, nell'ambito della stessa balada, ci siano più forme ritmiche.
2. "Quiereme así piantao": Balada para un loco
Per chiarire meglio quello che abbiamo detto sulla nuova forma di tango canzone creata da Piazzolla e Ferrer, possiamo parlare di Balada para un loco.
Balada para un loco è probabilmente una delle canzoni più note della coppia Piazzolla-Ferrer, se non addirittura la più nota. Fu scritta nel 1969 per il primo festival iberoamericano della Danza e della Canzone, che si svolse per sei giorni, dal 9 al 14 dicembre, nello stadio Luna Park di Buenos Aires. A interpretarla era Amelita Baltar, nota cantante di tango e all'epoca moglie di Piazzolla.
La canzone non vinse il festival: secondo quanto dice Ferrer in questa intervista, la giuria, formata tra gli altri da Vinicius de Moraes e dalla cantautrice peruviana Chabuca Granda, aveva attribuito il punteggio maggiore a Balada para un loco; tuttavia, l'organizzazione del festival, legata ad una visione del tango più tradizionalista e che non vedeva quindi di buon occhio il nuevo tango di Piazzolla, fece in modo che vincesse la più ortodossa Hasta el último tren, interpretata da Jorge Sobral.
Anche il clima della serata finale del premio, che si tenne il 14 dicembre, fu molto teso, con una parte del pubblico che era ancora legata alla visione tradizionale del tango e che contestò vivacemente l'esecuzione di Balada para un loco. Nelle parole di Amelita Baltar:
Quella notte ho rotto la cerniera del vestito per la tensione che avevo, c'erano molti che fischiavano e mi insultavano mentre cantavo...
(da Todavía piantaos, pubblicato su La Nacíon del 13 novembre 1999)
Piazzolla e Ferrer non ottennero così i 7.500 dollari del primo premio, ma non fu un grosso problema: infatti, il lunedì successivo la canzone fu pubblicata in disco con Chiquilín de Bachín come lato B e solo nella prima settimana ne furono vendute più di 200.000 copie.
La Balada racconta la storia, a metà tra realtà e sogno, dell'incontro tra un matto e una donna nella sera porteña ed esprime bene la visione di Ferrer del Tango come miscela di cantato e recitazione: qui, di fatto, la parte cantata è limitata al solo ritornello, mentre la creazione dell'atmosfera e la presentazione del personaggio del piantao, termine che in lunfardo, il dialetto di Buenos Aires, indica il matto, sono affidate alla recitazione.
Su questa dicotomia canto-recitazione Piazzolla costruisce una bipartizione anche della melodia: infatti, la parte recitata è accompagnata da un ritmo di valzer, mentre la parte cantata ha una cadenza di tango e questo consente anche di creare un climax interno alla canzone.
Potete trovare il testo e la traduzione di Balada para un loco su questo sito, mentre di seguito potete sentire la versione della canzone eseguita da Piazzolla con Amelita Baltar e la versione di Roberto "El Polaco" Goyeneche.
Come potete sentire, il punto di vista cambia a seconda dell'interprete: l'interprete maschile adotta il punto di vista del piantao, mentre l'interprete femminile adotta il punto di vista dell'anonima interlocutrice cui si rivolge il matto.
3. Morire a Buenos Aires
Oggi che Dio smette di sognarmi
verso il mio oblio andrò per Santa Fe
So che nel nostro angolo ci sei già tu
Piena di tristezza fino ai piedi
(Horacio Ferrer, Balada para mi muerte)
Horacio Ferrer a Buenos Aires viveva nell'Hotel Alvear, nel quartiere della Recoleta; vi si stabilì nel 1976 e vi rimase per tutta la vita. Diceva di vivere in quel luogo perché dalla sua stanza si poteva avere una splendida vista di Buenos Aires. Occupava, all'ottavo piano, insieme alla moglie Lucía Michelli (che lui chiamava Lulú), una camera con due balconi dalla quale si poteva vedere gran parte di Buenos Aires, il Rio de la Plata e da cui addirittura lo sguardo si poteva spingere fino alla costa dell'Uruguay dove Ferrer era nato. Qui si dedicava a quella ilusión hermosa che per lui era la poesia, svegliandosi tardi (a mezzogiorno, abitudine che giustificava così: "Mi piace stare sveglio la notte e mi fa bene dormire dieci ore; inoltre, i medici mi raccomandano di essere dormiglione") e immergendosi nella raffinatezza e nella discrezione dell'albergo.
Quando morì, il 21 dicembre 2014, lasciò dietro di sé i testi di baladas memorabili come Chiquilín de Bachín, La bicicleta blanca, Balada para mi muerte e l'immagine leggera di un poeta che aveva vissuto secondo le proprie inclinazioni, che aveva amato la notte porteña e che ne aveva cantato i personaggi e le atmosfere. Non so se sia riuscito a morire all'alba, alle sei, come aveva predetto in Balada para mi muerte; quello di cui non possiamo dubitare è che quel giorno in cui Dio ha smesso di sognarlo lo spirito di Ferrer si sia fatto un ultimo giro nelle strade della città di cui aveva saputo distillare la poesia e abbia poi atteso la morte innamorata per ballare con lei l'ultimo tango.
Di seguito trovate la versione di Mina e Piazzolla di Balada para mi muerte; a questo link trovate il testo e la traduzione della canzone.