1. L'automne est là
Mettiamo un po' di musica diversa per la prima pioggia d'autunno...
Come dice il poeta, sous la pluit fine l'automne est là. E con l'autunno tornano a spegnersi i sogni gloriosi dell'estate, a infrangersi di fronte alla scoperta dolorosa della loro vanità. C'è stato un tempo in cui ci dicevano che l'estate sarebbe durata in eterno, anno dopo anno, ci spingevano a immaginare il futuro come una lunga strada che ci avrebbe permesso di realizzarci al meglio, come nessuna generazione aveva fatto prima. Poi venne l'autunno con la rivelazione che Fukuyama era fondamentalmente un coglione e che la storia non prevede happy ending come una commedia romantica hollywoodiana. Avevamo creduto di andare su una strada dritta verso l'infinito, come Peter Fonda in Easy Rider sulle sconfinate praterie americane, e invece era soltanto il breve rettilineo di un sentiero di montagna.
Forse ci avevano fregato oppure forse ci avevano creduto sinceramente. Non lo so. Ma le piogge d'autunno spazzarono via le immagini gloriose e ci lasciarono i nostri sogni di banlieue da inventare per scacciare via la tristezza. Di tutto quello che ci avevano promesso, rimase il desiderio di una vita tranquilla. Di una vita normale.
Oggi è ancora autunno e camminando sotto la prima pioggia con una lieve incazzatura legata al fatto che ho lasciato l'ombrello a casa (sono un inguaribile ottimista), mi viene in mente quel personaggio di Gozzano che
sognò per anni l’Amore che non venne,
sognò pel suo martirio attrici e principesse,
ed oggi ha per amante la cuoca diciottenne.
Anche a lui erano rimasti solo i sogni di banlieue per affrontare quella realtà inquieta che sarebbe andata a schiantarsi nella carneficina della guerra.
2. Le storie di banlieue di Giuseppe Verdi
Ho aperto questo post con una canzone che viene da quello che a mio parere è l'album migliore di Manu Chao, Siberie m'était contéee, una visione poetica delle figure e dei fantasmi (Helno est mort è dedicata al cantante delle Negresses Vertes morto di overdose nel 1993) che popolano la banlieue parigina. E' un album che amo molto, forse perché parla di una vita di sogni spezzati che non scorre trionfale verso domani luminosi, ma che si compone di frammenti, di momenti passati a fumare una sigaretta a mezzanotte sul Boulevard Brune, di tradimenti, di giorni di pioggia sulle foglie morte dell'autunno. Non c'è speranza di redenzione, nei testi di questo disco, ma al tempo stesso non c'è nemmeno lo sguardo fintamente compassionevole delle caritatevoli signore altoborghesi di inizio secolo à la Sybil Birling in An inspector calls di Priestley, il paternalismo di chi in fondo è convinto che chi ha molto meno di lui se lo meriti. In questo disco c'è solo la vita così com'è, in considerazione del fatto che in fondo non ci sono seconde possibilità e quindi bisogna cercare di trarre un po' di felicità dalle condizioni che ci sono date.
Ed è per motivi molto simili che amo Verdi. Il Verdi di Rigoletto, il Verdi della Traviata, il Verdi che mette gli outsider al centro del palco e dà loro voce senza condannarli, ma con una sottile simpatia. C'è molto delle storie di banlieue delle nostre città battute dalla crisi nelle vicende del buffone costretto ad annegare la propria individualità nel ruolo che si è dovuto ritagliare per uscire dalla povertà. E forse, in un sistema economico sempre più competitivo e disumanizzante, molti si possono riconoscere in quel "Ma in altr'uomo qui mi cangio!" che Rigoletto pronuncia rientrando a casa.

Il mio maestro di composizione qualche anno fa mi disse che non pensava che Verdi fosse attuale. Mi permetto di dissentire: Verdi ci parla dell'oggi, delle nostre Violette emarginate dal pregiudizio sociale, degli Tsipras che, come il Filippo del Don Carlos, devono anteporre il rispetto di equilibri sanciti da organismi dall'aura quasi sacra (la Chiesa del Grande Inquisitore nell'opera, la BCE nella tragedia greca odierna).
E ci parla di noi, che con il sorriso di Falstaff guardiamo il cielo sapendo che "Tutto nel mondo è burla".
Ed è per motivi molto simili che amo Verdi. Il Verdi di Rigoletto, il Verdi della Traviata, il Verdi che mette gli outsider al centro del palco e dà loro voce senza condannarli, ma con una sottile simpatia. C'è molto delle storie di banlieue delle nostre città battute dalla crisi nelle vicende del buffone costretto ad annegare la propria individualità nel ruolo che si è dovuto ritagliare per uscire dalla povertà. E forse, in un sistema economico sempre più competitivo e disumanizzante, molti si possono riconoscere in quel "Ma in altr'uomo qui mi cangio!" che Rigoletto pronuncia rientrando a casa.

Il mio maestro di composizione qualche anno fa mi disse che non pensava che Verdi fosse attuale. Mi permetto di dissentire: Verdi ci parla dell'oggi, delle nostre Violette emarginate dal pregiudizio sociale, degli Tsipras che, come il Filippo del Don Carlos, devono anteporre il rispetto di equilibri sanciti da organismi dall'aura quasi sacra (la Chiesa del Grande Inquisitore nell'opera, la BCE nella tragedia greca odierna).
E ci parla di noi, che con il sorriso di Falstaff guardiamo il cielo sapendo che "Tutto nel mondo è burla".